Una storia di drammatica solitudine, finita mel peggiore dei modi. L’11 giugno in un bosco tra Auronzo e Misurina è stato trovato un camper totalmente divorato dalle fiamme. Al suo interno Cloe Bianco, ex insegnante di laboratorio dell’istituto Scarpa di San Donà di Piave. 58 anni di Marcon (Venezia), la donna è stata trovata carbonizzata all’interno del suo camper, suicidandosi, come annunciato sul suo blog. 7 anni fa, dopo essersi presentata in aula in abiti femminili e successivamente aver intrapreso il percorso di transizione, l’allontanamento forzato dall’insegnamento. Da allora lavorava nelle segreterie scolastiche. “Oggi la mia libera morte, così termina tutto ciò che mi riguarda“, il titolo dato al suo ultimo post. Gli inquirenti aspettano i risultati del DNA per avere la certezza assoluta che si tratti proprio di Cloe, ma ci sarebbero pochi dubbi a riguardo.
“Il possibile d’una donna brutta è talmente stringente da far mancare il fiato, da togliere quasi tutta la vitalità. Si tratta d’esistere sempre sommessamente, nella penombra. In punta di piedi, sempre ai bordi della periferia sociale, dov’è difficile guardare in faccia la realtà. Io sono brutta, decisamente brutta, sono una donna transgenere. Sono un’offesa al mio genere, un’offesa al genere femminile. Non faccio neppure pietà, neppure questo”.
Parole di profondo dolore, quelle scritte dalla 58enne, che nel suo ultimo giorno di vita ha “festeggiato con un pasto sfizioso e ottimi nettari di Bacco, gustando per l’ultima volta vini e cibi che mi piacciono”. “Subito dopo la pubblicazione di questo comunicato porrò in essere la mia autochiria, ancor più definibile come la mia libera morte. Questa semplice festa della fine della mia vita è stata accompagnata dall’ascolto di buona musica… Ciò è il modo più aulico per vivere al meglio la mia vita e concluderla con lo stesso stile. Qui finisce tutto”.
Una solitudine, quella vissuta a fatica dalla donna, che accomuna tante, troppe persone LGBTQ+, spesso ripudiate dai parenti, senza affetti al proprio fianco. Una storia di sofferenza ed emarginazione, di diritti negati e profondo isolamento, che più volte era stata esplicitata sul blog: “Essere una persona fuori dai canoni diffusi, dai modi comuni del vivere, ossia fuori da quello ch’è ritenuto giusto in una data società in uno specifico periodo temporale“, scriveva Cloe, “vuol dire incarnare ciò che non si deve essere, con le fin troppo ovvie conseguenze di rifiuto date dalle scelte ritenute, dalle altrui persone, scandalose, inaccettabili, non condivisibili“.
“In Veneto mancano le tutele per le persone transessuali e la vicenda di Cloe, lasciata sola dalle istituzioni e dalla Regione di Luca Zaia, lo dimostra”, ha denunciato alla Nuova Venezia l’avvocata transgender Alessandra Gracis. “Purtroppo, per quanto riguarda la cura delle persone affette dalla disforia di genere, siamo all’anno zero. Il vero problema è che nel Veneto, nonostante le promesse di Zaia e i suoi obiettivi o tentativi di dar voce a un centro regionale che affronti questa tematica a fianco delle famiglie, non è stato fatto nulla. La legge regionale 22 del 1993 c’è, per tutta l’assistenza necessaria. È rimasta però una lettera morta, dato che la giunta avrebbe dovuto individuare i centri entro 30 giorni. Di giorni ne sono passati oltre 10 mila, senza i necessari adempimenti. Ora siamo davanti al suicidio di una persona transessuale”.
Il suicidio di Cloe segue il suicidio di un 15enne transgender di Catania, Sasha. La Regione Veneto ha istituito un numero verde (800.334.343) a cui possono rivolgersi le persone in difficoltà psicologica.
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