Diecimila chilometri a piedi, lontano dal suo Mali, per arrivare in Italia. È la storia di Diara, nome di fantasia, la cui storia (non di fantasia) è stata raccontata da un operatore di uno sportello di assistenza per i migranti di Napoli.
Diara aveva poco più di 18 anni quando ha svelato la sua omosessualità in famiglia. Suo padre e suo fratello, in tutta risposta, lo hanno ripetutamente picchiato con un bastone di ferro: “Sul corpo aveva ancora i segni di quella violenza, tante cicatrici che io ho certificato. Lo hanno quasi ammazzato” racconta all’agenzia Dire Mauro Romualdo, medico napoletano che fa volontariato presso lo sportello di assistenza per i migranti dell’ex opg “Je so’ pazzo”. Aveva un compagno di cui era innamorato, Diara, ma non restava che scappare perché in famiglia non era accettato e perché il Mali è uno dei Paesi africani più poveri: gli ultimi dati disponibili – forniti da Amnesty International – certificano che tre milioni di maliani (su 18 complessivi) vivono in condizioni di totale insicurezza alimentare (senza considerare che il Paese ha uno dei tassi di fertilità più alti di tutta l’Africa).
Così Diara è scappato, a piedi, fino a giungere in Italia, precisamente in Campania. Il suo viaggio è durato più di un anno e mezzo tra la Tunisia, i Balcani e la Slovenia. In Italia Diara ha trovato accoglienza: “Visito ragazzi solitamente tra i 16 e i 24 anni. Spesso vengono accolti in grossi cas – centri di accoglienza straordinaria – e in quel caso difficilmente riceveranno l’assistenza sanitaria adeguata. Il ricordo più nitido legato a Diara? Il suo dispiacere nel prendere atto che suo padre, sempre amorevole nei suoi confronti, fosse diventato all’improvviso così violento” chiosa Romualdo.
In Mali l’omosessualità è tecnicamente legale, ma lo stigma è ancora pesantemente radicato nella società.
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