Aimee Stephens ha lavorato per sette anni presso le pompe funebri Michigan R.G. & G.R. Harris Funeral Homes prima di essere licenziata quando ha fatto coming out come donna transgender.
La donna ha subito denunciato il caso alla Commissione per le pari opportunità sul lavoro dello Stato, ma l’ex datore ha impugnato il tutto appellandosi addirittura al tribunale, sostenendo come non sia affatto illegale discriminare le persone transgender. Thomas Rost, questo il nome del datore di lavoro, ha sostenuto che il Titolo VII della legge sui diritti civili del 1964, che ha bandito il trattamento discriminatorio, non coinvolgerebbe le persone transgender. Rost, che è stato gratuitamente rappresentato dall’omofobo studio legale Alliance Defending Freedom, ha inoltre affermato che le sue azioni erano protette dal Religious Freedom Restoration Act, legge statunitense del 1993 tutta centrata sulla “libertà di religione”. Persino nel licenziare.
A suo dire le proprie azioni transfobiche sarebbero valide perché “crede sinceramente che la Bibbia insegni che il sesso di una persona sia un immutabile dono di Dio“, e che avrebbe “violato i comandi di Dio se avesse permesso a uno dei suoi dipendenti di negare il proprio sesso“. Fortunatamente la Corte d’appello statunitense ha respinto le sue deliranti affermazioni, esprimendosi a favore di Stephens e dell’Eeoc. A nome della corte, il giudice Karen Nelson Moore ha scritto: “La discriminazione nei confronti dei dipendenti, a causa della loro incapacità di conformarsi agli stereotipi sessuali o al loro stato transessuale transitorio, è illegale ai sensi del titolo VII“.
Le pompe funebri in questione, ha proseguito il giudice, non sono una chiesa, non hanno scopi religiosi nel proprio statuto, sono aperte tutti i giorni, coprono le festività cristiane e servono i clienti di qualsiasi fede religiosa.
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