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“GOHATTO”: MA COME FANNO I SAMURAI

Formalmente ineccepibile ma un po’ ingessato il ritorno al cinema del grande Nagisa Oshima che dopo ‘Furyo’ affronta di nuovo una storia di omosessualità militaresca. Al tempo dei samurai.

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Magisa Oshima, il grande regista giapponese autore di indiscussi capolavori come ‘L’impero dei sensi’ e ‘Furyo’ era attesissimo sulla Croisette al festival di Cannes che si è appena concluso: non faceva film da quattordici anni (‘Max mon amour’). E assistendo alla proiezione di ‘Gohatto’ sembrava di essere davanti a ‘Furyo 2 – cento anni prima’: nuovamente Kitano in una storia di omosessualità militaresca, al tempo dei samurai invece che durante la seconda guerra mondiale, di nuovo Sakamoto qui impegnato nella colonna sonora. Siamo nel 1865 e un giovane samurai efebico e bellissimo (Ryuhei Matsuda) entra a far parte della Shinsen-gumi, manipolo di combattenti al servizio degli shogun. Da dodici anni il commodoro Perry ha aperto i porti del Giappone alle merci americane e l’imperatore sta minacciando il potere degli stessi shogun. Il nuovo samurai non è tra l’altro un

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ramoscello indifeso: imperturbabile e dallo sguardo glaciale, è abilissimo nell’uso della scimitarra e non esita minimamente a decapitare un collega fedifrago. La sua frangetta galeotta fa velocemente stuoli di vittime: uno alla volta capitolano i suoi colleghi di ventura, dal più giovane (Tadanobu Asano) al maturo capitano (Takeshi Kitano) che riuscirà a controllare la passione e ristabilire l’ordine.

Formalmente ineccepibile e indubbiamente affascinante – grande fotografia, magnifica la colonna sonora di Sakamoto che crea una continua tensione nella storia – soffre un po’ di una sorta di ingessatura teatrale della vicenda (Kitano è una maschera tragica perturbata dai suoi caratteristici tic, la staticità della messa in scena dopo un po’ annoia). Bellissimo il finale onirico con metaforica sciabolata terminale.

Il ‘Gohatto’ del titolo è il severo codice penale dei samurai e il film è tratto da un libro di Ryotaro Shiba. Curiosa e ben girata l’unica scena di sesso esplicito gay di tutto il festival di Cannes 2000 – e in cui il giovane protagonista non muove nemmeno un sopracciglio.

Oshima ha anche spiegato che ‘in giapponese non esiste una parola per esprimere il concetto di ‘omosessualità’ né di ‘ironia’ e che fra i samurai l’omosessualità non è un tabù’. Ha comunque aggiunto: ‘Io solo però l’ho affrontata.’

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