È musica per le orecchie queer, ma c’è anche un flop bruciante: Carol. È ambivalente il bilancio lgbt della 73esima edizione dei Golden Globes, la cui cerimonia di premiazione si è svolta ieri sera (era notte in Italia) presso il Beverly Hilton Hotel di Los Angeles, presentata con brillante svagatezza dal comico Ricky Gervais. Sì, perché il trionfo di Lady Gaga in Versace nero e Sam Smith è piuttosto inatteso: la Lady Top viene premiata per il suo ruolo della Contessa alias Elizabeth nel kubrickiano Hotel di American Horror Story, in dieta ferrea (beve solo sangue umano) e sicuramente Leo DiCaprio deve avere pensato a una succhiatina quando lei gli ha dato una bottarella andando a ritirare il Golden e lui ha subito guardato lì, un po’ stupito, dove non batte sicuramente la Contessa. E noi ricorderemo la Contessa soprattutto perché ha come amante, da vent’anni, il superlativo Matt Bomer, con cui si concede pure tè di gruppo magari non troppo aristocratici, più da Amazzone Suprema ma sicuramente spassosamente divertenti.
Lei è emozionatissima, ringrazia la famiglia, chi se lo aspettava? Poi, un’altra bella notizia: il Golden Globe per la migliore canzone originale va a Sam Smith e Jimmy Napes per Writing’s on the Wall dall’ultimo James Bond Spectre in cui canta: “I want to feel love!” (si sarà ripreso dalla rottura col bellissimo Jonathan Zeizel?) anche se è stato visto con un bel cioccolatino al concerto di Kylie Minogue quest’estate al British Summertime Hyde Park… Gli starà ancora così vicino?
Ma tutti ci aspettavamo il trionfo del magnifico Carol di Todd Haynes e invece no, vince il sogno di Iñarritu The Revenant che potrebbe finalmente far arrivare tra le mani di Leo l’Oscar tanto atteso, dopo cinque nominations: intanto si è aggiudicato il migliore viatico possibile, il Golden Globe come miglior attore, ed è il secondo dopo The Wolf of Wall Street.
Rottura, sì, di scatole e non scatole regalo: Carol esce a bocca asciutta, è praticamente uno shock. Com’è possibile che il frontrunner, così bello, così impeccabile, così mirabilmente girato se ne vada a casa senza nemmeno un fiocchetto natalizio? Perché, forse, non emoziona abbastanza, è troppo controllato, troppo preciso e quasi soffocante nella sua perfezione: e così via le attrici, perché vince la sconosciuta Brie Larson per Room che batte la coppia Mara-Blanchett (lei aficionada a Givenchy, questa volta è pink) ma anche Alicia Wikander, moglie della trans pittrice di The Danish Room, il già oscarizzato Eddie Redmayne.
A questo punto un serio dubbio si pone: e se la forza selvaggia e ariosa del (pare) potente The Revenant di Iñarritu battesse pure agli Oscar il compito da dieci (senza lode) di Todd Haynes? Non chiediamocelo, adesso, però è indubbio che ora Carol possa aspirare seriamente solo alle categorie tecniche – in primis fotografia e scenografia – ma conosceremo le nominations solo tra tre giorni.
Il resto rientra più nelle previsioni, a parte Sylvester Stallone per il televisivo Creed: migliori attrici protagoniste Kate Winslet per Steve Jobs e Jennifer Lawrence per Joy (stavolta non è volata per terra), migliori attori Matt Damon per The Martian (il film è anche il migliore non drammatico) e Christian Slater per il televisivo Mr. Robot, anche migliore serie televisiva.
L’Italia si consola con la colonna sonora del superiore The Hateful Eight di Quentin Tarantino firmata da Ennio Morricone (Quentin lo ringrazia in italiano).
Sfiora il Golden la genialata gender Dio esiste e vive a Bruxelles di Jaco Van Dormael che viene battuto dal necessario e sconvolgente Saul Fia (Il figlio di Saul) di Laszlo Nemes ambientato ad Auschwitz – all’Oscar sarà scontro diretto, potremmo scommetterci – mentre tra i film d’animazione non ha avuto concorrenti il creativissimo Inside Out di Pete Docter. Vi ricorrete l’elefantino rosa caramelloso che piangeva bonbons? Noi oggi piangiamo la morte di David Bowie ma Lady Gaga, Sam Smith e, certo, Leo oggi non hanno altro che festeggiare.
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