Nell’immaginifico Sodoma e Gomorra, il quarto volume della monumentale Recherche proustiana, il genio letterario francese verga alcune tra le migliori pagine mai scritte sull’amore gay, "fecondo in senso morale" poiché "quaggiù ogni essere può dare a qualcuno la sua musica, la sua fiamma o il suo profumo". Tratteggiando il regno incantato degli ‘uomini-donne’ attraverso lunghe e memorabili metafore naturalistiche su orchidee e calabroni, Primulae veris ermafrodite e lumache feconde, Marcel Proust fece allora scandalo per la passionalità esplicita dell’"inumano mondo del piacere", in particolare per quel magnifico personaggio del barone di Charlus i cui riverberi grotteschi (è esemplare quanto Proust fu stregato dalla magica congiunzione tra il barone e il gracile Jupien) scatenarono l’irrefrenabile furia di Gide, ferito come omosessuale e come esteta.
Per comprendere meglio da dove nacque l’ispirazione che portò alla realizzazione di questo capolavoro senza tempo, non si perda la mostra fotografica in corso alla galleria parigina Au bonheur du jour al numero undici della stretta rue Chabanais, quasi dirimpetto al leggendario bar lesbico Le Champmeslé. Si intitola Hôtels garnis. Garçons de joie. Prostitution masculine – Lieux et fantasmes à Paris de 1860 à 1960 ed è curata dalla titolare della galleria, Nicole Canet, autrice di un omonimo ricco libro illustrato in edizione limitata che ricostruisce l’universo clandestino della prostituzione maschile dalla Belle Époque agli anni Sessanta. Vengono recensiti circa trenta indirizzi di luoghi celebri dedicati all’amore mercenario gay, dall’istituzionale Hôtel Marigny in rue de l’Arcade, dove Proust si recava regolarmente per assistere a sedute voyeuriste e sadomaso (si pensi alla celebre scena del bordello in cui il narratore osserva in un occhio di bue il barone di Charlus legato al letto e torturato farsescamente da Jupien), al frequentatissimo Hôtel du Saumon nel secondo arrondissement passando per il "Madeleine" di Pigalle.
Il proprietario del Marigny, tale Albert Le Cuziat (1881-1938), bretone trapiantato a Parigi come "troisième valet de pied" del principe Radziwill, poi passato alle dipendenze della contessa Grefulhe e del principe Orloff, è il principale ispiratore del personaggio di Jupien. "Un bretone biondo, privo di eleganza, con occhi blu freddi come quelli di un pesce – gli occhi della sua anima – e che rifletteva nei suoi occhi l’inquietudine del suo mestiere". Così lo descrive malignamente Céleste Albaret, governante e fedele assistente di Proust fino alla sua morte. Le Cuziat divenne confidente intimo di Proust e, dietro cospicui compensi, gli raccontò i più gustosi aneddoti e pettegolezzi sull’ambiente gay parigino che alimentarono i passaggi più omosex della Recherche. Lo stesso Proust lo definiva "il mio Gotha vivente" e gli fornì aiuto economico per aprire nel 1913 una delle prime saune gay parigine, i "Bains de Cuziat" e, nel ’17, al fine di agevolare l’acquisto del Marigny, prestandogli persino i mobili di sua madre per arredarlo, quelli che nella Ricerca del Tempo Perduto sono della zia Léonie del Narratore.
Nella curiosa mostra è possibile ammirare fotografie rare, disegni inediti, persino verbali della Polizia che testimoniano le frequenti retate in bordelli, saune, vespasiani e bar per soli uomini. In uno di questi documenti tratti dagli archivi della Prefettura di Polizia, datato 11 gennaio 1918, si legge proprio il nome di Marcel Proust, "46 anni, redditiero, 102 boulevard Haussmann", sorpreso – non in pose equivoche, ma semplicemente a un tavolo con bottiglie di champagne – in compagnia di Le Cuziat, del soldato di fanteria Léon Pernet e del caporale André Brouillet. In una stanza della galleria è persino ricostruito un camerino segreto di un bordello per uomini.
Come spiega la curatrice Canet, "allo svoltare di una strada o nell’intimità di una camera, vi sembrerà di incrociare le ombre di Marcel Proust o di Jean Genet, di Roland Barthes o di Pier Paolo Pasolini".
Fino al 27 ottobre.