Dopo decenni di ecologismo, pomodori e uova marce alle prime teatrali, dichiarazioni di solidarietà ai piccoli amici pelosi, gli stilisti ci ripensano: le pellicce sono trendy, non solo per la signora danarosa, ma anche per il machetto di stile. Suscitò stupore nei primi anni novanta l’uscita di Alberto Tomba, intervistato al Tg, coperto di una lunghissima pelliccia di visone chiaro. Intemperanza di un giovane carabiniere. Presto dimenticata.
Con le ultime sfilate autunno – inverno, invece, si benedicono le camere a gas per i visoni, gli sgozzamenti delle volpi rosse e quant’altro occorrer possa. Tutto per ottenere pelli di animali dalla carne assolutamente non utilizzabile nel mercato alimentare.
E poco importa se solo qualche anno prima ci si era dichiarati a favore delle pelli ecologiche, così divertenti nei loro pazzi colori, così riconoscibili nelle loro improbabili dimensioni.
Necessità del lusso più superfluo. Necessità di esibire il benessere più opulento. Che non c’è. Perché tutto questo fa parte dei corsi e ricorsi storici: in un momento di grande crisi, ci si obnubila la vista con l’illusione della ricchezza che non si ha, o non si ha più.
Il tardo impero romano, Eliogabalo regnava nello sfarzo, cambiando il colore delle proprie mense ad ogni stagione, mentre nella città i Centurioni cospiravano per la sua eliminazione.
Alle soglie della rivoluzione francese, con Luigi XVI, si consumavano l’equivalente di miliardi in cera d’api per illuminare i ricevimenti a Versailles.
Anche lo Zar e la sua corte continuarono a pasteggiare a champagne, fino alla rivoluzione d’ottobre.
Per fortuna e tranquillità, nel 2000, nei paesi del G7, la più pericolosa rivoluzione che ci si può prospettare sarebbe, al massimo, un virus – killer che blocchi per 45 minuti i computer a Silicon Valley.
Ciò non toglie che, dopo gli anni del minimalismo, siamo vittime di un’ondata d’ eleganza da nuveaux riches che non ci possiamo più permettere, eccezion fatta per qualche miracolato delle nuove professioni informatiche. Ma poco importa se la stragrande maggioranza non possiede cinque milioni da investire in un giacchino dal pelo caldo. La moda sembra tornare appannaggio delle minoranze.
Quindi avanti con le volpi argentate di Cavalli, i colli di astrakan di Gigli, il castoro di Krizia.
Non basta ingolosire un pubblico femminile da sempre affascinato dalla pelliccia – status symbol, occorre allargare il mercato al pubblico maschile, solleticarlo in una vanità troppo a lungo mortificata in nome di una forzata sobrietà.
“Pellicce, pellicce, pellicce, lunghe, corte, ….così esclusive da rendere la donna che veste Cavalli invidiosa”, così recita il comunicato stampa per le sfilate autunno – inverno 2000/2001 della griffe più in voga ( e in Vogue) del momento.
Naturalmente esistono rimedi a questo male. Le pelli ecologiche di Elio Fiorucci, voce, da sempre, fuori dal coro. Le nuove tecnologie dei giubbotti in gore – tex, buoni da indossare sia sui jeans, che sul doppiopetto.
E, tanto per avere un reperto degli sfarzosi anni ’80, un salto in una bella boutique dell’usato a comprare un cappotto dal collo di pelliccia rigorosamente falsa, per ricordarci di quando eravamo animalisti un tempo.
di Paola Faggioli
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