Ascolti un nuovo disco di Giuni Russo e non puoi che uscirne a pezzi. Le tue difese vanno in frantumi, la sensibilità si scioglie, e in certi momenti ti urta pure. Non sempre ce la fai ad ascoltarlo tutto, arrivi al brano 6 o 7, è troppo. Incredibile e paradossale che un disco così straordinario abbia il prezzo raccomandato (15,45 euro) quando gli altri costano più di 20 e li butti via dopo una settimana o li scarichi da Internet.
Grazie a Sony che finalmente torna a farla cantare per tutti noi. E’ incredibile come Giuni ce l’abbia fatta a resistere tutti questi anni. L’hanno salvata il suo caratteraccio, internet, l’amore del pubblico, dall’ostracismo delle radio pattumiera, della TV tette e culo, dai discografici da periferia dell’impero. E Giuni dedica il disco a ‘sto pubblico fedele nel tempo, dove “fedele” sconfina nell’adorazione.
La testardaggine sua si riflette in questo pubblico (quante donne lesbiche e uomini gay!) che le rende omaggio. Quasi si fossero costruiti un razzo privato per vederla passare al meglio tutte le volte che passa vicino alla terra. Troppo di nicchia per essere italiana, troppo siciliana per essere europea, la cometa che puntualmente ritorna.
Dunque “Signorina Romeo“. Registrazione live cioè autentica: ottimi i musicisti, tutt’uno con la pasta della voce di Giuni e perché senti tutta la tensione e attesa del pubblico*.
“Signorina” perché non s’è ancora sposata (oops!), “Romeo” perché è il suo cognome… e anche perché lei è Romeo.
Aneddoti. Si racconta di quando si prese a botte o quasi con Caterina Caselli, che lei chiama Medea. Siamo nella città delle donne, destini e tragedie. Voleva chiudere Giuni in una canzonetta.
I capricci da primadonna della lirica (come quando con un ritardo stava facendo perdere ai colleghi l’aereo per Malta -dove aveva luogo il Festivalbar- e voleva ancora aver ragione lei).
Franco Battiato e l’intesa troppo poco coltivata, che oggi sembra ripartire con la misura della maturità. Battiato citazionista e sperimentatore degli anni ’70 attratto e incuriosito da quella voce da mitologia greca.
Giuni “quella dei gabbiani” che divertita dalla trasmissione-parodia gay “Un frocio per l’estate” a Radio Popolare di Milano, telefonò e propose “ragazzi, l’anno prossimo vengo anch’io, e faccio Viola Lavandino… e canto Sturami!”
Qualche mese fa, a Cocktail d’Amore il duetto televisivo con Amanda Lear, uno dei momenti più belli della TV italiana degli ultimi 50 anni… lei stuzzicava Amanda, forse nata in Vietnam, e le due insieme hanno fatto vocalizzi orientali… eccole, le trifonie dei mongoli!
Da sempre, quando ascolto la signorino Romeo, me l’immagino alla finestra con lo sguardo fisso sul mare di Sicilia, o in una Milano che lei fa diventare spirituale (concerti registrati nella basilica di San Lorenzo!), in una Madrid reinventata. O in un aeroporto… ecco “Sakura” (canzone dell’album) una canzoncina che Giuni ha sentito nel ’69 sussurrata da una hostess nippo e mo’ ci canta: this is Giuni Russo.
Ispirata, intransigente, attaccabrighe e mistica. Enigmatica come una Sfinge che lascia di sasso chi l’ascolta. Mediterranea. Il giorno del giudizio non ti servirà l’inglese. Chiusa in sé eppure saporita come una cozza. Ostica, scostante mentre si offre tutta. Paradosso. Giuni Russo è una versione femminile, dura come un sasso, del camp. Sentite che culata maschia il suo “domo arigato” (grazie mille) alla fine di Sakura.
Una versione di “Ciao Amore Ciao” di Luigi Tenco che lascia interdetti per coraggio e intensità. Giuni è l’unica che può osare in Italia più di Patty Pravo.
Gli anni che passiamo su questo pianeta sono sempre troppo pochi, e sempre malinconicamente vissuti come qualunque siciliano sa, da Pirandello al Commissario Montalbano.
Misura assoluta e mancanza di misura insieme, con una voce che ti fa deragliare.
“Signorina Romeo”, quanto sei maschia e quanto sei femmina.
Un musicista straordinario come Juri Camisasca cui finalmente Giuni dà finalmente potenza ed eco
(*ascoltate “Nomadi” poi ditemi se non vi vergognate di vivere in un paese dove ha successo Ligabue).
https://www.giunirusso.it
di Paolo Rumi