Meglio mandriano gay che licenzioso sciupafemmine: il nostro amato Heath Ledger, nonostante la sua comprovata eterosessualità, proprio non funziona nello stucchevole ‘Casanova‘ di Lasse Hallström, una banalotta farsa burlesca sul grande amatore veneto.
Motivi? Sarà quel suo sguardo dolce e vagamente assente, senza malizia, oppure una certa incapacità di assumere quelle movenze un po’ studiate da seduttore incallito; insomma, Ledger non ha affatto il physique du rôle di Casanova e certamente l’assunto di base del film di Hallström non lo aiuta: parlare del più celebre latin lover senza trattar di sesso.
Il regista svedese naturalizzato a Hollywood sembra così spaventato dall’idea di affrontare l’argomento (produce la Disney) da sbrigare nei primi cinque minuti una serie di veloci copulate, ironiche e inoffensive, ignorando il soggetto per il resto del film, che diventa una blanda pochade d’ispirazione goldoniana su scambi d’identità a ripetizione, travestimenti continui, un tocco di ‘Scaramouche’ con improvvisato duello all’arma bianca e al primo sangue, balli in maschera dalla verve un po’ forzata e qualche inseguimento tra le calli veneziane, mai così finte e cartolinesche (e dire che il film è stato girato davvero in laguna!). Massima trasgressione? Un rapporto orale sotto un tavolo semovente con sparizione della colpevole e improvvisa ‘confessione’ di un povero maialino.
Tutto per addolcire l’animo conquistatore di Casanova facendolo innamorare della bella Francesca Bruni (l’impersonale Sienna Miller), femminista ante-litteram nonché autrice clandestina di libelli contro il sesso forte col ‘nom de plume’ di Bernardo Guardi e promessa sposa di un mercante di lardo genovese che non ha mai visto: inutile dire che il protagonista si spaccerà per quest’ultimo con inevitabili conseguenze da pura commedia degli equivoci (e Dell’Arte). Tanto più che quando giunge il vero mercante dall’improbabile nome di ‘Papprizzio’, lo si scoprirà molto diverso dal Giacomo che ne ha preso il posto, soprattutto per la stazza monumentale (lo interpreta l’Oliver Platt di ‘Appuntamento a tre’, mai così sovrappeso).
Nella movimentata farsa subentra anche Giovanni, il fratello di Francesca, il delizioso Charlie Cox, che ‘erediterà’ il ruolo di Casanova prendendo in consegna la sua identità col beneplacito del protagonista. È quasi un dispiacere, poi, vedere un attore sofisticato come Jeremy Irons relegato con parrucchino paggesco nel ruolo ridicolo dell’Inquisitore, il vescovo Pucci che sbarca in laguna sperando di riuscire a condannare l’immorale Casanova.
Qualche legittimo sospetto di omosessualità (o è banale sottomissione reverenziale?) lo si può avanzare nei confronti dell’inseparabile aiutante di Casanova, Lupo (l’attore angloiraniano Omid Djalili), che con modi effettati e qualche accondiscendenza di troppo, serve il suo fedele padrone quasi come un amante rispettoso. Fa invece piacere rivedere l’affascinante moglie cinquantenne del regista, Lena Olin, in ottima forma e senza evidenti ritocchi alla ‘Nip&Tuck’, nei panni della vitale madre di Francesca.
Se si cerca un qualche approfondimento sul decadentismo filosofico di Casanova oppure un biopic accurato, ci si rivolga altrove (evocare Fellini sarebbe un sacrilegio). Pregi del film? I bei costumi di Jenny Beavan, una sontuosa scena di massa con centinaia di comparse in Piazza San Marco e un certo ritmo che dà un po’ di vita alla sceneggiatura anodina e convenzionale. Innocuo come può essere un divertissement da domenica pomeriggio per famigliole di bocca buona.
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