Una lettera scritta nel 2016, dalla madre di un ragazzo omosessuale. Il figlio gay ha 25 anni e sta morendo. Il tumore lo sta indebolendo ogni giorno sempre di più, e ormai non gli resta tanto da vivere. Ma vuole non avere segreti con i suoi genitori.
E per questo, nonostante la debolezza e il dolore, vuole uscire dall’armadio. Quel coming out sognato, provato, detestato, che gli faceva paura. Per i 25 anni ha tenuto il segreto, ma non vuole andarsene senza che mamma e papà sappiano la verità su di lui. E così ha fatto, il giorno prima della sua morte.
Mio figlio non c’è più. È partito a ottobre, dopo mesi di lotta contro il nemico del secolo. È stato forte, dignitoso e sorridente nell’affrontare la sua lotta, la chemioterapia, le sue speranze che si affievolivano visita dopo visita. Mio figlio è partito che non aveva ancora 25 anni: e per tutti quegli anni non l’ho conosciuto veramente.
Solo il giorno prima di andarsene ci ha parlato, ha aperto il suo cuore, e come un’eruzione di un vulcano ci ha detto di essere gay, ci ha guardato negli occhi e nell’anima e voleva una risposta, il nostro giudizio. Il nostro affetto, già grande, è cresciuto e il nostro sguardo l’ha coperto di amore. Nulla era cambiato per noi, anzi, il regalo di essere parte della sua vita più intima non lo cancelleremo mai. Lui ci ha detto che in casa poteva essere facile, ma là fuori, nel mondo, la sua vita sarebbe stata difficile, di vergogna, una corsa ad ostacoli. Ci ha detto di volerci bene, teneva forte la mia mano. Il giorno dopo è partito con il cuore più leggero. Il suo segreto era con noi.
Scrivo in questo momento di acceso dibattito per tenere nella nostra vita mio figlio e per dire a tutti i genitori che ora urlano contro questa legge che forse anche loro, come noi, non conoscono veramente il loro figlio e un giorno potrebbero pentirsi di non aver contribuito a rendergli la vita più semplice. Mio figlio era un ragazzo «normale», come tutti… Mi manca.
L’affetto e la vicinanza dei genitori non sono banali per un figlio gay
La lettera è stata pubblicata nel 2016 da La Stampa. Non si conosce la donna che l’ha scritta, tantomeno il figlio gay menzionato, morto da qualche mese. Ma è una storia simile a tante altre. E’ la storia di un coming out, in un momento molto particolare, tra il figlio e i propri genitori. Siamo abituati a raccontare di coming out tragici, in cui la verità porta a violenza e rifiuto. A Torino, nel 2018 un ragazzo venne cacciato di casa dal padre. Nel veronese, sempre nello stesso anno un ragazzo gay venne costretto dai genitori ad andare da uno psicologo. E sono solo due di decine di casi. Ma ci sono stati anche coming out dove tutto è andato per il meglio, contro ogni aspettativa.
Questo è stato uno di quelli. Perché l’affetto dei genitori verso il loro figlio gay non è cambiato. Anzi, è aumentato. E crediamo che il fatto che fosse terminale non conti. E’ bastata la volontà del ragazzo ad essere sincero, a voler condividere un segreto con mamma e papà. A vivere insieme un momento di grande intimità. L’ultimo. Seppur se solo per poche ore, quella famiglia è rimasta unita, sincera, vicina. L’affetto e la vicinanza dei genitori è un fattore importante che dovrebbe essere presente in ogni famiglia. Un figlio è sempre un figlio, seppur gay. Non cambierà nome, non cambierà aspetto. Cambierà, forse, il sogno della mamma di vederlo sposarsi con una bella ragazza. Allo stesso modo, anche il coming out con la famiglia è un momento unico, di liberazione. Un passo importante.
Perché a un certo punto si sente la necessità di confidarsi con qualcuno, che sia un amico o la famiglia. Perché è un modo per farsi conoscere, e per vivere liberamente la propria vita. Essendo se stessi. E nn c’è nulla di più bello di questo. Chi prova un’amicizia vera, non se ne andrà. Chi ti vuole bene, continuerà a volertene. Ed è con questo spirito che anche il gay pride punta a sfilare per l’orgoglio, per essere se stessi nonostante tutto.
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