MEMORIE D’UN FOTOGRAFO DI NUDO

Centinaia di servizi, decine di maschi immortalati e libri pubblicati in tutto il mondo. Questo è Tony Patrioli, che ha deciso di raccontarci i suoi 30 anni di nudo. E le sue avventure.

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«Sono come un cacciatore alla ricerca degli uomini o dei ragazzi che mi eccitano», dichiarava Tony Patrioli qualche tempo fa a una rivista tedesca.

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Per trent’anni il suo inseparabile “fucile” è stata una Olympus, le sue cartucce migliaia di rullini, i suoi colpi gli scatti e i suoi trofei centinaia di giovani maschi italiani. E già molti dicono che i suoi nudi sono entrati nelle leggenda, mentre i paragoni corrono veloci a colui di cui ha raccolto l’eredità, il barone fotografo Wilhelm von Gloeden.
«La [sua] pellicola ha impressionato la risata maliziosa del dio» diceva di lui l’amico Ivan Teobaldelli. «Per lui il mirino non è un buco della serratura da cui spiare, bensì la stessa pupilla. Il suo campo d’azione non è mai stato un’inquadratura, ma il mondo intero… tutto ciò non è forse Italia?», aggiungeva il fotografo GiovanBattista Brambilla. Innumerevoli sono i tributi all”Opera’ di Patrioli di intellettuali o semplici appassionati. Con il suo lavoro, pubblicato su riviste di tutto il mondo, ha cantato il mito della virilità italiana immortalando, nudo dopo nudo, l’ebbrezza del desiderio e un’Italia che non esiste più.

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Lo incontro accompagnato dall’inseparabile Bulla, il suo bull terrier, che è comparso anche in alcuni servizi fotografici. Mi mostra decine di scatti e i ricordi affiorano…
«È la passione per i ragazzi che mi ha spinto a fotografare – esordisce – e ognuno è stato un amore è una parte di me».
«Quante cose potrei raccontarti – continua – Vedi questi tre ragazzi? Ero in Sardegna lontano dalle spiagge più battute e li colsi dietro ad uno scoglio completamente nudi e abbracciati dal sole. Per nulla imbarazzati si avvicinarono. La loro virilità era inebriante. Gli chiesi soltanto ‘Posso?’. Al loro sì incominciai a scattare. Vedi quest’altro? Era un eterosessuale infiltrato nel primo gay camp organizzato da Babilonia. Era ‘curioso’ e anche quella volta bastò semplicemente chiedere».

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Di tutti i modelli ricorda un particolare, una frase o come li conobbe mentre i nomi incominciano a sfuggirgli, ma il fotografo non dimentica che ognuno di loro è legato a un’emozione. «Ne ho fermati tanti e tanti che ho perso il conto. Non so se ero coraggioso o semplicemente temerario. Erano assolutamente incoscienti della loro bellezza. In pochi rifiutavano. Non avevo paura a chiedere. Bastava un po’ di gentilezza, era estremamente facile scatenare la loro voglia di esibirsi».
«Qualcuno ha detto che i set fotografici su cui lavoravo sono minimali. Lo erano per forza di cose visto che non ho uno studio ed ho sempre considerato la natura il mio studio e la luce del sole la mia luce. Erano set improvvisati lontano dagli occhi indiscreti. Fotografare nudo non era reato ma era stigmatizzato.

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Alle volte venivamo interrotti e dovevo scattare il più velocemente possibile. Negli scatti artistici il membro in erezione è bandito ma mi è anche capitato, alle volte, di far spogliare i modelli e di trovarmi nell’impossibilità di fare foto artistiche…»
Ride, lo sguardo perso nella sua memoria mentre i ricordi fluiscono e i modelli grazie ai suoi racconti rivivono. Dove saranno ora?
Emerge il quadro di un’Italia che non c’è più.
L’Italia della cultura mediterranea. Quella degli eterosessuali che si prestavano con facilità a giochi omoerotici. L’Italia fiera della sua virilità. L’Italia dell’innocenza rurale. «Ma non posso asserire che alcuni miei modelli fossero proprio così innocenti», aggiunge strizzandomi l’occhio.

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«Tutti potevano prestarsi come modelli. Si fece fotografare, tra i primi, un autostoppista. Era bellissimo. Ora non credo esistano nemmeno più. Una volta preparai un set su un’isoletta siciliana. Ci accompagnò un pescatore sui venticinque anni, in barca. I modelli, che conosceva, lo coinvolsero. Alcuni sono riusciti perfino ad imbarazzarmi! In Puglia, ad esempio, fotografai un efebo diciottenne biondo. Il giorno dopo mi chiamò il padre. Temevo dei guai, anche se il giovane era maggiorenne. Al contrario anche il padre voleva farsi fotografare! Tra i servizi più curiosi ci fu quello con due ragazzi siciliani. Dissi loro di abbracciarsi e avvicinare le teste, come in una nota foto di Gloeden a cui mi sono spesso ispirato. Bene, i due incominciarono a baciarsi e non ci fu verso di farli smettere…».
Rispetto alla sua carriera Tony racconta che incominciò nel 1965 come fotografo dilettante. «Incominciai con una Polaroid come fotografo hard, non ho nulla da nascondere. Da subito collaborai con numerose testate internazionali. Nel 1977 presi un diploma in una scuola milanese di fotografia pubblicitaria. Le foto softcore sono state semplicemente un lavoro. Preferisco il ritratto e il nudo maschile.

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Fui tra i primi a dichiararmi, su “Homo”, e poi venne “Babilonia” che mi volle dal primo numero. Le foto più artistiche non nascondono le mie origini. Ho immortalato il desiderio».
Purtroppo, da qualche tempo Patrioli ha smesso di fotografare: «La vita ti segna. Tutto è cambiato e i giovani di oggi se mi contattano mi chiedono un book perché vorrebbero sfondare nel mondo della moda. Ieri era diverso. Ieri i giovani erano così!». E con un gesto mi mostra gli album delle fotografie che tengo ormai chiusi sulle ginocchia.
Gli chiedo se riprenderà la macchina fotografica. Mi guarda e sorride sornione: «Non si sa mai…».

di Stefano Bolognini

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