Nel Dicembre del 1532, lo scultore Pierantonio Cecchini fece incontrare un giovane ventitrenne romano e uno dei più grandi artisti del Rinascimento: il giovane nobile si chiamava Tommaso De’ Cavalieri e l’artista, allora cinquantasettenne, era Michelangelo Buonarroti. Quest’ultimo, una delle menti più visionarie e memorabili dell’epoca, un Re Mida che trasformava in arte tutto quello che toccava, rimase sconvolto dall’incontro: qualcosa scattò dentro di lui tanto da sentire l’urgenza di tenersi in contatto con il bel De’ Cavalieri: tra il 1532 e il 1564 l’artista scrisse un numero infinito di lettere, dichiarando al giovane compagno di penna un’ondata di sentimenti che andavano ben oltre l’amicizia.
“Come se creduto m’avesse passare con le piante asciucte un picciol fiume” scrive Buonarroti per descrivere l’incontro con Tommaso, paragonandolo ad un corso d’acqua solo in principio piccolo e controllabile ma gradualmente un mare aperto vasto e ingonvernabile. Tommaso è un nome che l’artista dichiara apertamente di non riuscire a togliersi dalla testa, quasi fosse diventato parte del suo corpo: “Non credo che voi crediate che io abbia dimenticato o possa dimenticare il cibo di che io vivo, che non è altro che il nome vostro” gli scrive. Quello che prova Buonarroti è un sentimento irrequieto e urgente che ha bisogno di costanti conferme: lo stesso De Cavalieri in un primo momento sta sulle sue. Ricambia le sue belle parole con distacco e controllo, quasi come una dama che ama essere corteggiata e replicando le norme dell’amor cortese, per poi rimanere sempre più lusingato dalle parole di quell’uomo più grande. Buonarroti invia bozze di opere e idee – da Il ratto di Ganimede alla Caduta di Fetonte – cercando esclusivamente il parere del suo pupillo. Lo stesso Buonarroti diventa soggetto di alcune sue opere, su tutte Il Ratto di Ganimede: ispirato dalle parole di Omero nell’Iliade, Buonarroti ritrae un giovane troppo bello per restare tra i mortali.
Il legame tra i due resterà un punto di riferimento negli anni. Anche quando De’ Cavalieri si sposerà e avrà due figli, il nobile resterà al fianco dell’artista fino alla sua morte nel 1564. Il loro fu un amore che non ha mai trovato conferma, se non attraverso le parole degli stessi, interpretabili e manovrabili a piacimento della storia: lo stesso pronipote di Buonarroti, Michelangelo Il Giovane, curando la prima edizione delle poesie dello zio, convertì i versi dedicati a De Cavalieri al femminile, quasi fosse inconcepibile che un artista di quella portata provasse qualcosa di così tenero per un altro uomo: “unica luce al mondo che non ha pari né simile a sé”.
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