Mentre il caso del diciannovenne gay iraniano Mehdi Kazemi, impossibilitato a rientrare nel suo paese dove rischia una condanna a morte per sodomia, infiamma le cronache internazionali (“Se in Iran non ci sono omosessuali, allora non so chi sono io” scrive Kazemi parafrasando Ahmedinejad), non potrebbe essere più attuale il bellissimo cartoon ‘Persepolis’ di Marjane Satrapi e Vincent Paronnaud, candidato all’Oscar come miglior film d’animazione – assegnato poi al più tradizionale ‘Ratatouille’ – e meritato vincitore del premio della Giuria a Cannes.
Tratto dall’omonima graphic novel di successo della Satrapi, racconta con un tratto semplice e pulito la storia autobiografia dell’autrice, dall’infanzia a Teheran durante la rivoluzione islamica, alla presa del potere dei fondamentalisti e la fuga in Europa, prima a Vienna e poi a Parigi, dove vivrà sulla sua pelle il senso di profondo sradicamento causato dall’esilio e le non poche difficoltà di integrazione. La sua famiglia fu duramente colpita dalla repressione imposta prima dal regime dello scià e poi dai Pasdaran: uno zio e un nonno, prigionieri politici, furono brutalmente assassinati.
Con una sceneggiatura serrata che non concede spazio al
sentimentalismo e uno stile maturo per nulla naif (le ispirazioni principali sono state il neorealismo italiano per dare corpo ai personaggi e l’espressionismo tedesco per il rigore formale degli sfondi), i giovani registi fanno davvero appassionare lo spettatore che si strugge per le vicende della ribelle Marjane, appassionata della cultura punk occidentale e di Bruce Lee, combattiva quando si oppone fiera all’imposizione di chador e hijab, persino dialogante con Dio e Marx alla ricerca di risposte filosofico-esistenziali.
La scoperta affascinante della diversità culturale europea si
affianca a quella sessuale: in uno dei vari appartamenti in cui va a stare Marjane a Vienna, c’è anche una gaia comitiva di otto omosessuali conviventi mentre il suo primo ragazzo in assoluto, Fernando (“come l’ho visto ho saputo che era l’uomo della mia vita”), si scopre anch’egli attratto dai ragazzi e addirittura la ringrazia – sbucando da un cespuglio: stava facendo cruising? – per avergli fatto scoprire di essere omosessuale (“Ah, che liberazione!”).
Tra ironia smaccata e riusciti tocchi poetici – davvero lirica la descrizione della malinconica protagonista quando va all’aeroporto a osservare i decolli, l’unica situazione a colori che, tra l’altro, incornicia il film – un vibrante atto di denuncia contro tutti gli integralismi, capace di chiarire il complesso rapporto tra l’Iran e la politica occidentale (choccanti i dettagli sui torturatori addestrati dalla Cia che mirano ai nervi dei piedi).
Il più bel personaggio del film è indubbiamente la vitale nonna
anticonformista che si mette i petali di gelsomino nel reggiseno, a cui dà voce, nella versione originale, con quel suo inconfondibile timbro ruvido e deciso, la magnifica Danielle Darrieux dell’ozoniano ‘Otto donne e un mistero’. E nonostante l’impegno della Cortellesi nel dare voce alla protagonista e di Licia Maglietta e Sergio Castellitto nel caso dei genitori, l’accoppiata Catherine Deneuve e Chiara Mastroianni (madre e figlia anche nella vita), non viene resa con uguale intensità nel doppiaggio italiano.
In zona cult la colonna sonora firmata da Olivier Bernet – il video dance sulle note di ‘Eye of the Tiger’ dei Survivor è semplicemente strepitoso – disponibile già da mesi per l’etichetta EMI in tutti i negozi di dischi.
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