Il nuovo, emozionante film di François Ozon ‘Le temps qui reste’ (‘Il tempo che resta’), presentato fuori concorso al Togay, avrebbe potuto chiamarsi ‘Sopra la sabbia’, quasi un contraltare simmetrico del suo capolavoro ‘Sotto la sabbia’: anche qui c’è una morte, ma in questo caso non misteriosa e inspiegabile ma annunciata (per un tumore) e un’elaborazione del lutto (ma non della moglie, del protagonista stesso). Ne è una versione al maschile e in chiave gay, non a caso considerato dall’autore stesso il secondo episodio di una ‘trilogia del dolore’. Qui non c’è Charlotte Rampling che non accetta la sparizione del marito forse annegato in mare ma il bravo Melvil Poupaud nei panni di Romain, un fotografo di moda omosessuale a cui viene diagnosticato una forma non curabile di cancro che gli dà solo qualche mese di vita. Non un personaggio simpatico, anzi: costantemente isterico, fa uso massiccio di cocaina (persino nel bagno dei genitori quando va a trovarli), bisticcia con la sorella che non sopporta, ha una storia con un angelico ragazzo biondo che però non funziona.
L’unica persona con cui ha un buon rapporto e a cui rivela
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L’unica persona con cui ha un buon rapporto e a cui rivela la sua malattia è l’amorevole nonna, una deliziosa Jeanne Moreau, che purtroppo non ha potuto essere al Festival perché impegnata su un set in Québec. Ha però inviato una lettera autografa in cui si legge: “Non ho il dono dell’ubiquità, ma mi dispiace molto non poter partecipare a questo festival e soprattutto non passare qualche giorno a Torino, città misteriosa e accogliente”. Contrappuntato dai toccanti ricordi di un’infanzia felice, ‘Le temps qui reste’ sa essere contemporaneamente un film duro e commovente capace di incendiarsi in tre belle scene di sesso esplicite e realistiche: Romain fa violentemente l’amore col fidanzato e gli rivela di non amarlo; osserva poi in un sex club un ragazzo che gli assomiglia e si fa fistare su uno sling mentre in sottofondo si ode musica classica. Partecipa infine a un torrido triangolo con una coppia etero per dare un figlio a lei (Valeria Bruni-Tedeschi, perfetta nei panni della cameriera quasi impacciata nel chiedergli l’insolita prestazione sessuale).
Anche qui, come in ‘Sotto la sabbia’, il mare azzurro illuminato da un sole estivo ha il significato importante di un orizzonte perduto e straziante, e compare all’inizio e alla fine del film. Melvil Poupad è abilissimo nel condensare tensione e sofferenza, nel non lasciare trasparire troppo o troppo poco, nel dare corpo all’abisso dell’afflizione. Ozon è un regista dalla doppia anima, da un lato capace di divagazioni camp e sottilmente grottesche che ricordano il primo Fassbinder, come in ‘Gocce d’acqua su pietre roventi’ o il più kitsch ‘Otto donne e un mistero’; dall’altro a intensi ritratti di personaggi dilaniati da tragedie personali, nei quali è ancora più abile e profondo. A questa categoria appartiene ‘Il tempo che resta’: Ozon non scivola nel contemplativo o nel compiaciuto, non cede alla lacrima facile, non dà concessioni alla consolazione a buon mercato. Forse non arriva all’intensità radicale e ammirevole di ‘Sotto la sabbia’ ma ci regala comunque un ottimo film.
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