Arriva finalmente anche da noi, in anteprima sabato sera al quinto Telefilm Festival di Milano e da venerdì 18 maggio su Italia Uno tutte le settimane in prima serata, la sitcom americana che si preannuncia il caso televisivo dell’anno, l’irrinunciabile Ugly Betty (Betty la brutta) scritto dal cubano dichiaratamente gay Silvio Horta e ispirato a un’omonima telenovela colombiana.
Abbiamo visto la puntata pilota e ci è parsa davvero irresistibile: non solo per la trascinante bravura della protagonista America Ferrera ma per il taglio cinematografico di regia e sceneggiatura, per l’assenza di tempi morti, per la cura dei dettagli in scenografie e costumi. Che spasso, ragazzi, nel seguire le fantozziane imprese di questa sciattona del Queens di origini latine, Betty Suarez, tracagnotta pelosa imbruttita da uno scintillante apparecchio ai denti ma che riesce miracolosamente a diventare l’assistente di Daniel Meade (Eric Mabius, Tim in The L Word), neodirettore donnaiolo di un must dell’editoria fashion, Mode, semplicemente perché l’editore, suo padre, non ne può più di sorprenderlo a far sesso in ufficio insieme alla segretaria di turno e con Betty può andare davvero sul sicuro.
Ma la sprovveduta Betty non ha il minimo buon gusto nel vestire e, nella sua beata ingenuità, non immagina di finire in un covo di serpi ultrasnob: appena giunta nell’elegante redazione dall’avveniristico arredamento curvilineo, la receptionist Amanda la scambia per un fattorino bardata com’è con un orripilante poncho di Guadalajara e inizia a odiarla per la prestigiosa posizione che ricopre al suo primo effettivo lavoro retribuito. Anche la rampante virago Wilhelmina (la cantante afro Vanessa Lynn Williams, ex Miss America), editor creativa, non vede di buon occhio lei e i suoi golfini striminziti, tanto più che è isterica perché sperava di ottenere la direzione della rivista. L’unica con cui lega è la placida costumista Christina, che detesta le «chic-ees taglia zero», ossia «le zoccole che lavorano a Mode».
La prima puntata non è molto gay ma vi fa capolino il personaggio dell’assistente effeminato di Wilhelmina che si svilupperà più avanti, il dandy Marc St. James (Michael Urie), che le fa anche da infermiere personale per le frequenti iniezioni facciali di Botox e similia a cui Wilhelmina non rinuncerebbe per nessuna ragione al mondo (e le dosi che avanzano Marc se le tiene per sé!). Viene presentato anche il nipotino dodicenne Justin (Mark Indelicato), appassionato di ballo e telenovelas, causa scatenante di vivaci dibattiti sui forum internazionali dedicati al film riguardo alla sua
omosessualità in nuce: la produzione ha negato ufficialmente, probabilmente anche per questioni legali vista l’età ma l’autore Horta sostiene di identificarsi proprio in Justin. C’è chi si innamorerà invece del fotografo francese etero Philippe detto ‘il treppiede’ – e non certo per motivi professionali – che detesta Betty e la umilia pubblicamente su un set facendole sostituire una modella. A dir poco irriverente il cameo dell’icona butch Gina Gershon nei panni dell’inserzionista Fabia dal lungo capello platinato, proprietaria italiana di una rinomata azienda di cosmetici (ogni riferimento a Donatella Versace è puramente, anzi duramente, voluto).
Ugly Betty sembra una via di mezzo – ma molto, molto più camp – tra ‘Fashion House’ con Bo Derek e ‘Il diavolo veste Prada’ che ricorda soprattutto per le vessazioni a cui è sottoposta Betty, quali portare in giro per Manhattan il cane di Daniel o addirittura togliergli un chewing-gum da una scarpa.
Colossale il successo ottenuto in tutto il mondo: sul canale americano Abc, dove la prima serie della sitcom va in onda dall’autunno scorso e terminerà il 17 maggio, ossia il giorno prima della messa in onda italiana, colleziona una media di sedici milioni di spettatori a puntata e il format è già stato venduto in circa settanta paesi, dal Messico all’India. Coproduce la diva latina Salma Hayek che nell’episodio pilota si ritaglia un’apparizione come cameriera in una telenovela vista in tv e comparirà più avanti come giornalista di moda con l’hobby del fitness.
Anche la critica ha approvato, onorando Ugly Betty di ben due Golden Globes (miglior serie comica televisiva e migliore attrice) e vari premi minori. Il messaggio di autoaccettazione e apertura nei confronti del mondo gay è piaciuto anche alle associazioni omosessuali, tant’è che la sitcom ha vinto il premio GLAAD, ossia Gay & Lesbian Alliance Against Defamation, il riconoscimento queer più politico nel mondo dello spettacolo americano.
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