Dolore? Diciamo disagio adolescenziale, insicurezza identitaria, bisogno di autorità genitoriale. La passabile commedia drammatica Un giorno questo dolore ti sarà utile del regista torinese Roberto Faenza rappresenta una svolta nel suo cinema degno di rispetto, opera mai banale di un intellettuale non allineato che ha realizzato film interessanti ma onestamente un po’ torvi, dal letterario Sostiene Pereira allo junghiano Prendimi l’anima. Non si direbbe nemmeno sua, questa trasposizione cinematografica dell’omonimo e ugualmente passabile libro più noto di Peter Cameron, interessante autore gay americano di Quella sera dorata, già esotico dramma per Ivory, e della brillante raccolta di racconti Paura della matematica. Sorprende, infatti, la leggerezza, la levità solare, la divertita ironia peraltro presente già nell’innocuo romanzo, rispettato piuttosto fedelmente (ma manca la scuola di vela il cui motto dà il bel titolo al libro e molte opere d’arte nella galleria della madre tra le quali il significativo quadro ‘Virilità’, omonimo di uno spassoso e dimenticato film gay di Paolo Cavara con Turi Ferro e una giovanissima Anna Bonaiuto).
James Sveck (Toby Regbo, bravino) è un diciassettenne newyorchese solitario con famiglia upper class moderatamente disfunzionale e pazzariella: madre svaporata (Marcia Gay Harden, perfetta, premio Oscar per Pollock) con terzo marito giocatore compulsivo – durante la luna di miele a Las Vegas le ha rubato i risparmi per giocarseli d’azzardo – padre avvocato e vanesio in procinto di farsi una blefaroplastica (Peter Gallagher di Sesso, bugie e videotape), sorella modaiola divoratrice di professori frollati (Deborah Ann Woll). Lui non ha altri punti di riferimento se non la placida nonna-guru Nanette (Ellen Burstyn, magnifica) che gli dispensa consigli pacificatori all’insegna del sempiterno "gnosi sauton", ossia "conosci te stesso". L’evidente omosessualità di James, peraltro non ammessa nemmeno al padre che glielo chiede espressamente, lo porterà a spacciarsi per un bellissimo adone via chat per rendersi desiderabile agli occhi del magnifico collaboratore gay di colore della madre, combinando un pasticcio dietro l’altro.
Girato con professionalità ma decisamente superficiale, ai limiti dell’inconsistenza, è molto frenato per quanto riguarda la parte gay – Faenza sa perfettamente che i film a tematica lgbt sono bollati come invendibili – e l’identità sessuale di James resta quasi angelicata e priva di qualsiasi connotazione erotica.
Di alto livello il cast, garantito da una produzione di spessore (cofinanzia anche la costumista "kubrickiana" di origini piemontesi e premio Oscar Milena Canonero): ritroviamo anche il "cattivo" di Avatar Stephen Lang a languire in attesa davanti alla casa di James, la ginnica Lucy Liu di Kill Bill nel ruolo di un’atletica life coach sui generis e la straordinaria Siobhan Fallon, la quieta Martha di Dogville, in quelli di Mrs. Beemer, signora disperata alla ricerca di un acquirente della sua proprietà-fetecchia.
Azzardatamente accostato al Giovane Holden, è consigliato a un pubblico di adolescenti che si chiedono, giustamente, in quale modo possono sapere che cosa desiderano nella vita e che cosa servirà loro. Belle le musiche di Andrea Guerra e la title track Love is Requited cantata da Elisa.
Si può vedere.
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