Il suo primo film, il delicato dramma intimista lesbico “Senza fine”, è stato un piccolo caso cinematografico: ha partecipato a più di quaranta festival cinematografici internazionali, ottenendo vari riconoscimenti – premio Flaiano alle attrici e menzione speciale al NewFest newyorchese su tutti – ma scandalosamente non è uscito in Italia nemmeno in DVD, al contrario di paesi europei quali Germania, Francia, Svizzera, Austria e Belgio che si sono subito accaparrati i diritti garantendone la visibilità almeno nelle videoteche. Lui è Roberto Cuzzillo, tenace regista torinese ventisettenne, in procinto di terminare la sua opera seconda, nuovamente alle prese con la tematica saffica, ma questa volta intrecciata alla tragedia della guerra bosniaca, ferita ancora aperta nel cuore di un popolo martoriato di cui purtroppo ci si ricorda solo negli anniversari, come quello recente del massacro di Srebrenica.
Raccontami la genesi di "Camminando verso"…
Nasce da un documentario del 2004 che girai in Bosnia tra Sarajevo e Mostar. È stato il primo approccio ai Balcani, da lì è iniziato un interesse che è maturato nel tempo. Ci sono tornato più volte per documentarmi su quello che era successo. Mi ricordava come m’immaginavo l’Italia dopo la Seconda Guerra Mondiale. L’ho sempre sentita vicina, fin da quando ero piccolo e sentivo parlare del conflitto. In tutto ci sono stato quattro volte. L’idea era rifare qualcosa legato alla Bosnia, credo che sia importante parlare di quello che è successo e com’è la situazione adesso per non dimenticare. Il soggetto è mio mentre l’autrice della sceneggiatura è la romana Carla Scicchitano.
A che punto è la realizzazione del film?Abbiamo girato durante l’inverno a fine febbraio per un mese, tra Torino e la Bosnia dove siamo stati una settimana. Ora siamo al montaggio. Stiamo ultimando le riprese per rifinire qualche raccordo. Sarà pronto in autunno.
È un progetto indipendente a basso budget, vero?
Sì, assolutamente. È costato sui centomila euro e ha avuto il sostegno della Piemonte Film Commission. La produzione esecutiva è della Enzimistudio di cui sono titolare ed è stato coprodotto dalla SAP11.
Qual è la traccia narrativa di "Camminando verso"?
Emina è una donna bosniaca che vive a Torino da quindici anni, è scappata dalla guerra e lavora in una rosticceria. Convive con una donna lesbica, Antonia, che sta uscendo da una storia sentimentale. Emina trova in lei quella fiducia che non ha in sé stessa e riesce a lasciarsi andare. È giocato in maniera velata sull’ambiguo rapporto intimo tra le donne ma non capiremo mai se Emina è lesbica o no. Nella vita di Emina entra quindi un uomo serbo che Antonia salva da un tentativo di suicidio. La storia è raccontata dalla voce fuori campo di Antonia.
La tematica lesbica, quindi, è affrontata in maniera meno diretta che in "Senza fine"?
Sì, è raccontata in maniera sospesa. Il rapporto tra le due donne non è per forza declinato sulla sessualità ma giocato sulle componenti che si creano nel rapporto intimo tra due donne non necessariamente omosessuali. Non si capisce se Emina è attratta sessualmente da Antonia… Ma il film parla anche della violenza domestica che le donne subiscono in Bosnia, il problema principale, adesso, in quella nazione.
Come hai scelto gli attori?
Qualche settimana prima dell’inizio delle riprese è cambiato completamente il cast. Antonia doveva essere interpretata da Antonia San Juan ma ha dovuto rinunciare perché le hanno proposto un contratto per una serie televisiva su TeleCinco. L’ha sostituita Fiorenza Tessari che mi è stata suggerita dal regista Peter Marcias. Il ruolo di Emina è stato assegnato a Anastazija Vidmar, un’artista esordiente al cinema. Il musulmano Amel Orucevic interpreta il personaggio serbo ed è stato realmente in guerra.
Come viene vissuta l’omosessualità in Bosnia, attualmente?
C’è molto machismo, è tutto nascosto, non ci sono locali espressamente gay. Forse ce ne sono, ma non vengono pubblicizzati e bisogna conoscerli. Io non ne ho visti, comunque.
Che reazioni hai riscontrato dalla comunità lesbica alle proiezioni di “Senza fine”?Il pubblico lesbico si è schierato al cinquanta per cento. Una metà mi ha criticato perché ha vissuto il film come un’invasione nel loro mondo, un uomo che affronta una tematica prettamente femminile. Come se mi dicessero: ma che ne sai tu? Per me è stata una scommessa per conoscere l’universo delle donne. Un momento di ricerca, una sfida che mi ha fatto comprendere il desiderio di maternità.
Parlami del tuo nuovo progetto gay…
Sto lavorando ad un soggetto su un ragazzo pachistano gay che fugge dal Pakistan a causa della propria omosessualità. Esiste realmente e lavora a Manchester: mi piace mescolare il suo percorso artistico con la finzione.
Sei stato in giuria al Togay e sarai in giuria Queer Lion. Ti piace stare ‘dall’altra parte della barricata’?
È gratificante. Un compito importante ma anche divertente. Molti boicottano i festival a tematica glbt ma non sono ghetti, c’è molta cultura queer che in Italia non conosciamo ed è un modo per aiutare a farla conoscere al pubblico. Serve anche a continuare a lottare contro l’omofobia e dà l’opportunità di conoscere lavori che è difficile distribuire, soprattutto in Italia. Per questo ritengo sia importante fare film a tematica queer, io personalmente sento l’urgenza di occuparmene.
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