La trans madrilena Marieta ha un problema che l’assilla: quel doppio decimetro tra le gambe che fa la gioia dei suoi clienti è diventato un peso troppo grande per la sua dirompente femminilità e le impedisce di dimenticare per sempre di chiamarsi Adolfo.
È la premessa di una curiosa commedia spagnola, ‘20 centimetri‘ di Ramón Salazar, che sta trovando un suo pubblico nonostante un ingiustificato divieto ai minori di 18 anni (ad oggi ha incassato 120.000 euro per 30 copie reperibili in tutte le città capozona).
La protagonista Marieta inoltre soffre di narcolessia, si addormenta nei momenti meno opportuni e sogna colorati numeri cantati molto kitsch – i momenti migliori del film – che ripercorrono vent’anni di successi pop (gli inserti musical sono ormai una moda, anche ‘Romance & Cigarettes’ di Turturro visto a Venezia è strutturato nello stesso modo):
l’iniziale ‘Tombola’ sembra un ‘It’s all so quiet’ di Björk ambientato sulla Gran Via; ‘Parole’ reinterpreta Dalida fra le strade battute dai prostituti travestiti; nel videosplatter ‘Quiero ser santa’ i suoi colleghi si trasformano in affamati zombie e divorano i clienti; in ‘True Blue’ (il più riuscito) Marieta stravolge l’hit di Madonna sognando di sposarsi in bianco; in ospedale, prima del cambio di sesso, gorgheggia tra medici e infermieri (più queer che Queen) ‘I want to break free’ salutando per sempre uno scomodo Adolfo soppiantato gioiosamente da una rifiorita Marieta.
Il cambio di sesso non è però una scelta facile per la protagonista anche perché al mercato si innamora ricambiata di Reponedor (Pablo Pujol, molto fascinoso), un muscoloso giovanotto che si rivela a letto un vorace passivo incapace di rinunciare al supermembro di Marieta (in una scena davvero spassosa una vicina di casa spia stupefatta dalla finestra la protagonista che sodomizza il fidanzato).
Attraversato da un’atmosfera molto anni Ottanta che dà una patina un po’ old fashion al film – c’è chi ha azzardato un paragone fuori luogo col primo Almodóvar – è narrativamente scombiccherato e pieno di buffi personaggi da bestiario felliniano come il nano musicista che convive con Marieta o le coinquiline litigiose con famiglie problematiche.
Ma il film è retto dall’ottima interpretazione della grintosa attrice protagonista, un’irrefrenabile Monica Cervera (la bruttona ricattatrice di ‘Crimen Perfecto’) che dà luce alla vicenda grazie alla sua scatenata energia vitale pur non essendo molto credibile il lato mascolino del suo essere trans: il regista a un certo punto mostra il lungo sesso per far capire allo spettatore che non si tratta di una donna biologica.
Il regista ha dichiarato che «la genesi di ’20 centimetri’ è in quelle gloriose commedie musicali dove brillavano stelle come Fred Astaire e Ginger Rogers, Elvis, Marisol, Cyd Charisse o Judy Garland, in quanto l’intero film era costruito intorno a loro. Monica Cervera è la stella di ’20 centimetri’; questo musical è stato costruito per lei e intorno a lei. È stata la mia ispirazione prima, durante e dopo. Oggi posso affermare che nessuno avrebbe potuto interpretare Marieta con la stessa forza, versatilità e talento. Potremmo gridare, come nella migliore tradizione musical, ‘Monica Cervera canta, balla e recita!’».
Non manca una comparsata molto divertente di Rossy De Palma, all’apparenza sorella gemella della protagonista, che si scatena in una virulenta requisitoria sul membro maschile a cui attribuisce gli appellativi più diversi: pendolo, pipino, batacchio, bottone.
Ideale per gli amanti del camp, ha però un difetto che, visto il titolo, non gli può essere perdonato: è troppo lungo (quasi due ore) e una sforbiciata di una ventina di minuti nell’ultima parte del film non gli avrebbe fatto male.
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