Uno scrittore che viene da Marradi è come obbligato a fronteggiare un mostro sacro della letteratura italiana, l’altissimo poeta Dino Campana. La disinvoltura con cui Omar Cerchierini ne aggira l’autorità, e l’evocazione toccante del poeta oltre la prima metà del libro danno a "Il Sacrificio Dell’Istrice" (Rizzoli, pp.180, Euro 12,50) un tocco d’elegante leggerezza e ce lo rendono subito simpatico.
L’inizio del romanzo è folgorante: attraverso uno scambio di concisi bigliettini tra il protagonista Piero e il suo fidanzatino Samu entriamo come in punta di piedi nel loro mondo, dove tutto, ma proprio tutto, dal sesso hard all’hard discount, dalla letteratura di rilievo (Gadda, Arbasino, Tozzi, Tondelli, Carver) ai filmetti porno viene riscritto, e rigenerato, dallo sguardo e dalla relazione dei due amanti, con un’invenzione linguistica originale che prosegue anche nella seconda parte del romanzo, incanalata nella più intima struttura diaristica, come se i fatti abbisognassero di un punto di vista diverso, e più distante, per essere meglio compresi.
Lo smarrimento del protagonista si fa, in queste pagine, più concreto: ai lamenti per l’amore perduto seguono goffi tentativi di "normalizzazione", descritti in modo comico e profondo insieme; a pagine esilaranti, veri e propri pezzi di bravura – si veda la brillante rielaborazione della dannunziana "Pioggia nel pineto"- si alternano momenti di riflessione, in cui affiora una tagliente, e molto giovanile, venatura nichilista, come se il bisogno di distruggere quanto si è appena creato fosse più forte di tutto, anche della scrittura stessa.
La "pars costruens" del libro, l’ultima, adotta la struttura del romanzo epistolare: di nuovo uno scambio, ma di più ampio respiro rispetto a quello iniziale, e non più tra i due amanti, ma tra Piero e l’amica del cuore, Betta, una sorta di battagliero contraltare all’apatia del protagonista. Questi, dal canto suo, cova il desiderio della scrittura, e come abbiamo assistito partecipi al suo smarrimento, con la stessa curiosità osserviamo le continue prove di definizione, autoaffermazione e crescita che culminano in un finale forse troppo repentino.
Sebbene l’ultima parte risulti più discontinua e alcune immagini, o parole, reiterate, perdano la loro brillantezza, il messaggio di Cerchierini giunge chiaro, lucido come i versi del suo illustre concittadino, forte come i boschi dei suoi "Carpazi", dove tutti, assieme a Cerchierini – e a Campana- dovremmo forse incamminarci.
di Tiziano Togni
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