Noi vogliamo un‘Europa d’amore. Noi vogliamo un‘Europa dai mille colori.
VI RACCONTO DI FRANCESCO
“Come ti chiami pazzo?” ho chiesto al ragazzo nordafricano che stava per attraversare la strada davanti alla mia auto, con il serio rischio di finire steso dalla mia fretta di arrivare in redazione per scrivere questo articolo. Ore 7.45 di un venerdì 24 giugno che non dimenticheremo mai.
“Francesco” mi ha risposto con corrucciato sguardo di difesa. Indossava una t-shirt azzurra della nazionale italiana di calcio e certo il suo nome non era Francesco.
“Devi rispettare il tuo rosso, perché se tu hai il rosso, io ho il verde e passo, e se tu passi mentre hai il rosso, poi ti fai male e forse mi faccio male anch’io, ed è un casino…”. “Hai ragione, sì lo so lo so amico, viva l’Italia guarda…?” mi ha risposto indicando la maglietta, orgoglioso, fiero, felice di quella regola del rosso e del verde, e felice naturalmente anche di non essere stato investito, magari solo per aver infranto quella regola. Certo poteva andare diversamente, ma è andata così. E’ il 24 giugno 2016, del resto.
VI RACCONTO DI KIT
Alcuni mesi fa chiesi a Kit, un ragazzo inglese di Oxford con cui stavo lavorando su un set, cosa ne pensasse del referendum di giugno sulla Brexit. E fu già allora che ebbi un sussulto. Kit mi spiegava che sulla Brexit avrebbe probabilmente vinto il sì (all’epoca non c’era ancora il gergo da scheda referendaria Remain/Leave, credo fosse dicembre 2015). E mi spiegava di come fosse assurdo lasciar votare i britannici delle province e delle campagne su un tema come quello del restare o non restare in Europa. “Cosa ne sa un vecchio inglese che non è mai uscito dall’Oxfordshire dei vini della Franciacorta? E cosa ne sa un contadino di Verona della Scozia?”. Kit conosce bene la zona della Franciacorta, perché da bambino con la sua famiglia totalmente inglese si trasferì per qualche anno da quelle parti a causa del lavoro del padre. Cosmopolita fin dall’infanzia, fieramente inglese, bilingue senza freno, il povero ragazzo manifestava sulla Brexit un sentimento di inadeguatezza da inglese che si vergogna del proprio regno. Kit ha diciotto anni e si sente un europeo cittadino del mondo.
SULLA DEMOCRAZIA
Winston Churchill disse che il miglior argomento contro la democrazia è una chiacchierata con l’elettore medio; insomma se vuoi parlar male del sistema democratico, basta parlare con il vecchio inglese campagnolo che vota Farage (il leader del partito di estrema destra Ukip che ha cavalcato questo referendum) o con un contadino della Franciacorta che vota Salvini. Vero, e forse più che prendersela con i due campagnoli inglese e padano sul voto contro l’Europa, bisognerebbe prendersela con loro (o in questo caso solo con l’inglese) per aver eletto David Cameron a Downing Street: un perfetto inetto proveniente da quell’elite inglese che accumula fondi neri a Panama, quell’elite inglese totalmente inadeguata a traghettare il Regno Unito nel mondo globalizzato. David Cameron è l’uomo che pur di vincere le elezioni ha promesso un referendum ridicolmente azzardato, follemente apolitico. E la storia ci dirà se Cameron è solo un idiota o se ha giocato in funzione degli indicibili fini delle movimentazioni finanziarie che hanno speculato e speculeranno su questo drammatico e storico avvenimento. La Gran Bretagna dovrà affrontare anni difficili, di divisione interna che se non pone un rischio di guerra civile, probabilmente sbriciolerà il regno, la monarchia sarà travolta e la Scozia rivoterà per la propria indipendenza, chiedendo successivamente di entrare in Europa.
È questo il più basso punto che i sistemi democratici abbiano mai toccato e non poteva che essere la Gran Bretagna a sbatterci in faccia con così crudele violenza la evidente e disarmante crisi delle rappresentanze che si va dipanando a macchia d’olio sotto i nostri occhi impotenti. Ma dovremmo per questo rinunciare alla democrazia? Dovremmo rinunciare alla nostra identità di occidentali, noi che la democrazia l’abbiamo inventata, perché inquinata dai populismi che serpeggiano nell’Europa di Farange, Le Pen e Salvini, come negli Stati Uniti di Trump? Dobbiamo ricordare ora che i Romani portarono la civiltà sulle sponde del Tamigi quando i barbari vivevano nelle capanne bevendo acqua putrida? Dobbiamo ricordare ora quanta civiltà l’impero britannico ha portato in giro per il mondo? Dobbiamo sottolineare che la rivoluzione contro la monarchia assoluta che regna ancora in molti paesi arabi e non solo, noi in Europa l’abbiamo fatta due secoli fa a Parigi?
Dobbiamo sottolineare ora che i totalitarismi di Napoleone e Hitler furono sconfitti dal principio della cultura liberale anglosassone che pone l’autodeterminazione del singolo individuo e dei popoli davanti a tutto? Non facciamoci prendere dal panico. Questo referendum è figlio dell’oscura matrice che muove paure e denari sui mercati finanziari, manipolando le emozioni delle masse in funzione degli sporchi giochi di potere e ricchezze fittizie dei mercati.
NOI NON VOGLIAMO UN’EUROPA ALLA TEDESCA
A Francesco e Kit oggi vorrei dire questo. Non vogliamo un’Europa in cui un ragazzo inglese debba sentirsi in difetto per la propria peculiarità, e non vogliamo un’Europa nella quale un ragazzo africano fiero di indossare la maglia italiana debba inventarsi un nome italiano per farsi accettare.
Non vogliamo un’Europa tutta uguale, non vogliamo un’Europa che costringa il cittadino all’omologazione standard. Non vogliamo un’Europa di sola moneta e finanza, non vogliamo un’Europa di stati nazione. Noi vogliamo un’Europa dei popoli. Noi vogliamo un’Europa dai mille colori. Noi vogliamo un‘Europa in cui le diversità siano la forza sociale che esprima rappresentanza.
Certamente non vogliamo un’Europa nella quale, se sbagli e passi con il rosso, finisci steso perché hai sbagliato. Noi non vogliamo un’Europa alla tedesca.
(articolo chiuso alle ore 10.15 del 24 giugno 2016)
Giuliano Federico