25enne del Camerun, Cindy Ngamba si trasferisce in Inghilterra all’età di 11 anni, in fuga dalla guerra civile in Camerun con suo fratello, sua mamma Gisette e suo padre, che non riesce a regolarizzare i due figli. Suo zio perde i suoi documenti quando torna in patria. Inizialmente Ngamba fatica con la lingua inglese, soffre il freddo, la pioggia, la bulimia e la depressione. È vittima di bullismo a scuola, perché in sovrappeso, si rinchiude in casa. È suo fratello ad introdurla allo sport, prima al calcio e a seguire alla boxe. A 15 anni inizia la sua seconda vita, con dei guantoni sulle mani.
A 18 anni Ngamba fa coming out e in quanto lesbica si rifiuta di tornare in Camerun, dove l’omosessualità è illegale. Nel 2019 Ngamba, che si è laureata in criminologia all’Università di Bolton, viene trattenuta insieme a suo fratello in un ufficio immigrazione a Bolton e inviata in un centro di detenzione a Londra. I due vengono rilasciati il giorno seguente, ma rischiano di essere deportati nel loro Paese. “Mi hanno ammanettato, io ero lì a urlare: “Dov’è mio fratello?” Mi hanno buttato nel retro di un furgone e portata a Londra“, ha ricordato Ngamba in un’intervista con Eurosport all’inizio di quest’anno. “Non sapevo dove stessi andando o che fosse un campo di detenzione. Quando siamo arrivati, sembrava una prigione ed era pieno di donne con i loro bambini”.
In quanto omosessuale, a Cindy viene concesso lo status di rifugiata.
L’anno dopo Cindy sale sul ring per la prima volta. Si allena con squadra britannica di boxe presso l’English Institute for Sport di Sheffield, ma non può competere per la Gran Bretagna perché non ha un passaporto britannico. Alle Olimpiadi di Parigi 2024 ci arriva grazie al Team Rifugiati. Sono 37 atleti provenienti da 11 Paesi e Ngamba fa la storia, essendo diventata la prima di sempre ad aver conquistato una medaglia, avendo raggiunto la semifinale del torneo femminile sotto i 75 kg. Sarà almeno bronzo assicurato.
Giovedì Cindy affronterà la vincente tra Atheyna Bylon, atleta di Panama, e la polacca Elzbieta Wojcik. Sognando una clamorosa finale.
A sette anni dal proprio coming out, Ngamba non può e non vuole tornare nel proprio Paese, il Camerun, perché “mi aspetterebbero carcere e sevizie, lì è considerato fuorilegge qualsiasi tipo di orientamento sessuale che non sia etero. Il rischio che corri è di essere messo in prigione e ti può accadere anche di peggio“, ha sottolineato. Appena 18enne, Cindy si è dichiarata ai propri genitori. “Sono molto aperta, non ho problemi a parlarne“, ha detto a Eurosport. “Ero un po’ spaventata all’idea di dirlo alla mia famiglia, ma non sono rimasti affatto scioccati. All’inizio mia madre aveva opinioni più tradizionali, ma poi si è convertita“.
In Camerun l’omosessualità è ancora oggi vietata dalla sezione 347-1 del codice penale, con una pena da 6 mesi fino a 5 anni di reclusione e con una multa da 20.000 a 200.000 franchi. Alla guida del paese africano, da ben 42 anni, c’è il 91enne Paul Biya, accusato pubblicamente da Amnesty International di limitare le libertà e commettere violazioni dei diritti umani. 6 anni fa Biya è stato rieletto con il 71% dei voti, ottenendo il suo settimo mandato, tra denunce di intimidazioni a danno degli elettori e brogli. Poche settimane fa sua figlia ha fatto coming out, baciando l’amata compagna.
Ngamba è stata una delle portabandiera del Refugee Olympic Team per la cerimonia di apertura, insieme all’atleta siriano di Taekwondo Yahya Al-Ghotany. Ma alle prossime Olimpiadi di Los Angeles potrebbe gareggiare con il Team GB, perché in attesa del passaporto britannico. È il suo sogno, anche come segno di riconoscenza nei confronti del Paese che l’ha accolta.
La squadra olimpica dei rifugiati esiste dai Giochi olimpici di di Rio del 2016. Fino ad oggi non era mai andata oltre due quinti posti a Tokyo, con Hamoon Derafshipour nel karate e Kimia Alizadeh nel taekwondo.
“Ci sono molti altri rifugiati là fuori, siamo milioni. Io sono solo una di milioni. E ci sono milioni di persone a cui non viene data questa opportunità“, ha detto Cindy a Reuters. “Spero solo che la mia storia e il mio viaggio siano in qualche modo fonte di ispirazione, non solo per altri rifugiati, ma anche per altre persone che hanno questa opportunità, così da poter realizzare cose straordinarie“.
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