“Mamma, sono gay!” esclama terrorizzato il protagonista Mattia mentre la mamma Aurora sta guardando alla tv un servizio sul Gay Pride. “Sì, sono gay… guardali, poverini…” ribatte lei, la grande Monica Guerritore che è sempre un piacere rivedere sul grande schermo. È la scena strepitosa (girata in doppia versione: nel film Mattia non batte la testa sul tavolo) con cui si chiude il trailer del più atteso lungometraggio gay dell’anno, "Come non detto", commedia degli equivoci sul coming out che si preannuncia fresca e spassosa, in uscita domani grazie a Moviemax e diretta dall’esordiente – ma ben rodato nel cortometraggio – Ivan Silvestrini. Un argomento attualissimo che riguarda ogni omosessuale, fase chiave di affermazione della propria identità, spesso un momento di svolta esistenziale tout court.
Molti si identificheranno nel tribolante Mattia (Josafat Vagni, probabile rivelazione), indeciso se dichiararsi o no alla sua famiglia quando all’improvviso giunge dalla Spagna il baldanzoso fidanzato Eduard (José Dammert) convinto che i ‘suoceri’ sappiano tutto, e approvino disinvoltamente. Nel cast spumeggiante troviamo anche un sorprendente Francesco Montanari, ex "Libanese" della serie Romanzo Criminale, reincarnato nella matronale drag queen Alba Paillettes.
Abbiamo intervistato lo sceneggiatore Roberto Proia, in partenza per il festival di Toronto nel ruolo di amministratore della neonata casa di distribuzione Notorius Pictures dopo aver lasciato quello di responsabile marketing della Moviemax.
Nel tuo libro "Come non detto – Il manuale del perfetto coming out" in uscita per Sonzogno definisci il dichiararsi gay “sia un viaggio che un’avventura” e “la cosa più difficile non farlo, ma decidere di farlo”. Che consigli puoi dare, in sintesi, a questo proposito?
Ogni coming out fa storia a sé e se uno vuole ‘stare nell’armadio’ si tratta di una scelta personale. Io do qualche spunto: guarda che fai un gran casino per niente, fuori dall’armadio si sta meglio. Nessuno è obbligato a farlo ma se lo fai stai meglio. Il coming out non deve essere necessariamente greve. Il consiglio principale che si evince è di fare pace con sé stessi, bisogna essere i primi ad accettarsi: se gli altri non ti accettano sono affari loro. Ma molta comunità omosessuale soffre di un’omofobia interna: solo perché vanno nei locali sono convinti di avere accettato la cosa ma poi abbassano la voce quando pronunciano la parola ‘gay’ come se avessero detto ‘ladro’, oppure rispondono ‘grazie’ quando gli viene detto ‘non sembri gay!’ come nel film.
Definisci l’essere gay “un cioccolatino squisito che ci è capitato in dono”.
Sì, il libro è infarcito di cose anche un po’ cialtronelle e pop: lo scopo è esattamente l’opposto di fare un manuale, è semiserio.
Com’è nata l’idea di una sceneggiatura sul coming out?
Sono nati insieme manuale e sceneggiatura. Per lavoro leggo sceneggiature americane e inglesi da dodici anni, loro sono fantastici commediografi. Ne ho lette talmente tante di brutte che mi sono detto: ora ne scrivo una io! È uscito tutto molto di getto. Ci ho messo quattro mesi e ho fatto quattordici revisioni. Da responsabile del marketing mi sono reso conto che devi pensare al pubblico quando scrivi e non essere troppo legato al tuo materiale.
Nel libro racconti il divertente coming out con tuo fratello in auto, a San Francisco… Con i tuoi genitori com’è andata?
Non ho più rapporti con mio padre. Con mia madre è stato piuttosto traumatico, non l’ha presa bene. Ma io avevo la forza di rassicurarla: è stato un lavoro certosino durato quasi un anno, sapevo che alla fine ce l’avrebbe fatta. Ha un cuore fantastico ma ha avuto varie difficoltà ad accettarlo.
E nell’ambiente di lavoro?
È stato molto naturale, ho avuto anche datori di lavoro sessantenni che hanno apprezzato questa normalizzazione. L’ambiente di lavoro è fatto di persone a cui devi dare la possibilità di accettare la cosa. Forse il mestiere di insegnante è più problematico, posso capire qualche reticenza… Con questo film cerco di dare delle ragioni per farlo.
Com’è avvenuta la scelta del regista e del cast?
Ivan Silvestrini viene dal Centro Sperimentale di Cinematografia, ha fatto un corto bellissimo (‘Avevamo vent’anni’, n.d.r.) in base al quale l’abbiamo scelto. Il cast è la cosa più importante: il protagonista è presente praticamente in tutte le inquadrature. Josafat l’abbiamo scelto dopo 140 provini, è strepitoso. Non avrei mai sperato che la Guerritore accettasse. Quando sono stato convocato a casa sua tremavo. Le ho detto: “Mi piacerebbe tanto averla a bordo…” e lei ha subito ribattuto entusiasta: “Ma io sono già a bordo!”. I nove coprotagonisti sono tutti meravigliosi. Se avessi saputo che la coppia di coatti funzionava così bene avrei aggiunto delle scene.
Non hai pensato a un sequel del film?
In effetti il materiale c’è, abbiamo tutti questi intrecci, circa 170 pagine di sceneggiatura… Ma forse un sequel sarebbe pleonastico.
Quali espedienti narrativi hai utilizzato per evitare i soliti cliché sugli omosessuali?
Detesto le macchiette e Mattia doveva essere normalissimo, una sorta di ‘ragazzo carta da parati’, si poteva capire che è omosessuale oppure no. Giacomo, facendo la drag queen, doveva invece essere più effemminato. Ho voluto poi rappresentare realtà gay come la frociarola, l’amica etero innamorata di lui da sempre, una storia molto tenera e bella: il personaggio di Stefania si è evoluto lungo tutto il film. Ho voluto evitare di cadere nelle battute un po’ grevi come in ‘Good As You’ o in stile ‘Bagaglino’. I dialoghi sono realistici ma non sbracano.
Victoria Cabello e Syria sono tue due amiche, vero?
Io e Victoria siamo amici da 14 anni, da quando lavoravo a MTV. Ha girato il cameo in mezza giornata, a titolo gratuito, mentre lavorava a "Quelli che il calcio…”. Syria ha letto la sceneggiatura e dopo un mese e mezzo mi è arrivato l’mp3 con la canzone… Pensavo a una melodia pop alla Juno e lei l’ha creata.
C’è qualche film affine a tematica gay che è stato fonte di ispirazione, come Mine Vaganti?
Ho amato moltissimo Mine Vaganti ma ho fatto di tutto per fare l’opposto: pensavo a un coming out più conciliatore e realistico, questo enorme conflitto è avvenuto più nella nostra testa che in quella dei nostri genitori. Se avessi avuto sedici anni non avrei mai fatto coming out vedendo Mine Vaganti anche se il film è meraviglioso!
Credi che in Italia ci sarà a breve qualche evoluzione legislativa per il riconoscimento dei diritti lgbt?
Sono negativissimo su questa cosa, ridono di noi all’estero, è una cosa assurda e me ne vergogno. La Chiesa fa il suo dovere ma il problema è questa pessima classe politica che ha paura di perdere il proprio elettorato: loro non sono pronti, la società italiana sì.
Che pensi dell’outing?
Non lo trovo giusto, è una violenza. È una scelta talmente personale che non me la sentirei di imporlo. Tiziano Ferro, a cui ho dedicato il libro, ha fatto un coming out meraviglioso, ma se uno non se la sente non lo si può obbligare. Pensa a quanto aiuterebbe la causa, per esempio, il coming out di un calciatore.
Hai già qualche idea per un nuovo progetto?
Ho scoperto di adorare scrivere. C’è un tema che mi sta molto a cuore, il perdono, ma non ho ancora la storia per veicolarlo. Mi piacerebbe una vicenda alla Terrence Malick, affiancare lacrime e sorriso esplorando questo argomento.