Culattone, checca, finocchio e gli altri: origine e storia degli insulti contro i gay

Dalla cucina all'Inquisizione, passando per le malattie infettive e la dominazione araba in Sicilia: ecco tutto quello che c'è da sapere sulle parole offensive contro gli omosessuali.

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3 min. di lettura

C’è tutto un lessico dell’omofobia, sedimentato nel tempo, fatto di parole spesso dalla storia lunga e articolata. Parole che molti di noi si sono sentiti ripetere in circostanze dolorose, ma che circolano anche all’interno della comunità LGBT come appropriazione per scherzare e sfottere gli amici. Come vedrete sono praticamente tutti termini nati per designare gli omosessuali maschi. Sull’assenza di insulti verso le lesbiche molto si potrebbe dire: per qualcuno la mancanza di lessico omofobico contro le donne sarebbe un segno di minor discriminazione, per qualcun altro all’opposto manifesterebbe l’assenza totale di rilevanza storica e sociale del fenomeno. Insomma, bisognerà tornarci. Per il momento ecco le parole più utilizzate per indicare (e insultare) i gay.

FR***O

Originariamente parola gergale proveniente dal dialetto romanesco, poi passata all’italiano. Nonostante gli sforzi fatti, la sua etimologia si può ancora definire “oscura”. Il termine ha avuto origine in un ambito – quello dialettale – che normalmente non lascia dietro do sé tracce scritte. Secondo alcuni deriverebbe dai Lanzichenecchi, i soldati mercenari tedeschi che, durante il Sacco di Roma del 1527, acquisirono fama di soldati particolarmente brutali e “feroci” (“fr**i”, appunto) arrivando a stuprare sia donne che uomini. Per altri il termine sarebbe invece una derivazione da “froge”: le froge o narici del naso che, quando si gonfiano, diventano “frogione”. Anche questo nome sarebbe stato assegnato dai romani i Lanzichenecchi, ai quali, essendo soliti ubriacarsi, si arrossava ed ingrossava il naso. Da qui l’epiteto di “frogioni” / “frocioni” che nella seconda forma è ancora in uso (seppur con il nuovo significato) a Roma. Secondo un’altra ipotesi, infine, il termine deriverebbe dallo spagnolo “flojo” (“floscio”), termine usato per indicare individuo senza carattere e privo di forza di volontà (da cui il romanesco “fròscio”), ma anche l’incapacità dei fr**i ad averlo “tosto” con le donne.

RICCHIONE (RECCHIA)

Di origine meridionale, solo successivamente si è diffuso al Nord. Anche questo termine è piuttosto controverso. Su “ricchione” (o “recchione” ma anche semplicemente “recchia”) vi è la teoria che vuole che il toccarsi il lobo dell’orecchio tirandolo verso il basso (facendolo diventare quindi un “orecchione”) fosse un segnale usato dall’omosessuale quando voleva far sapere d’esser disposto ad un incontro sessuale. Un’altra ipotesi considera invece la parola connessa a patologie che provocano problemi riproduttivi, in particolare l’allusione sarebbe alla parotite epidemica, la malattia infettiva dell’infanzia più famosa come “orecchioni” che, se contratta in età adulta, può aver la complicazione dell’infiammazione testicolare che può talvolta produrre la sterilità. Altri autori invece collegano il termine agli animali: alla lepre e alla sua proverbiale lussuria, così come alla circostanza, riferita dai bestiari dei primi secoli del cristianesimo, che la lepre cambierebbe sesso a volontà, simboleggiando così l’amore contro natura. Ma anche al caprone (“hircus” poi “hirculone”) col valore di bestia immonda, dedita alla sessualità sfrenata.

FINOCCHIO

L’etimologia di “finocchio” è piuttosto inquietante. La parola potrebbe derivare, infatti, dall’epoca in cui operava la Santa Inquisizione nello Stato Pontificio, quando i semi di finocchio sarebbero stato sparsi sugli omosessuali messi al rogo, al fine di mitigare la puzza di carne bruciata. Non vi è però alcuna prova oggettivamente documentata di quest’usanza. Più probabile invece l’origine culinaria: il finocchio selvatico in passato veniva infatti usato come ripiego per aromatizzare i cibi quando non si avevano i soldi per comprare le costose spezie provenienti dall’oriente. Quindi “finocchio”, se riferito ad una persona, sarebbe qualcuno che vale davvero ben poco, un uomo che non è uomoUn’altra possibile spiegazione sarebbe quella di un’allusione metaforica alla forma arrotondata del bulbo del finocchio, che ricorda vagamente quella delle natiche umane. Infine un’ulteriore etimologia viene connessa a una scherzosa reinterpretazione dell’ano inteso come “occhio fino”, cioè “occhio più piccolo”.

CULATTONE

Non servono molte spiegazioni: questa sineddoche (termine che dice la parte per indicare il tutto) è in uso quasi esclusivamente a Settentrione.

CHECCA

Per quanto riguarda “checca”, vezzeggiativo familiare del nome Francesca tutt’ora molto diffuso in alcune zone d’Italia (come anche “chicca” e al maschile “checco”), il termine viene ad indicare essenzialmente un uomo molto effeminato. L’uso di un vezzeggiativo femminile ha ovviamente, quando riferito ad un uomo, un’intenzione offensiva. È questo il termine che più sta alla base di espressioni quali: “checca isterica”, “checca persa”, “checca sfranta”, ecc.

BARDASSA

Termine oramai desueto, dopo esser stato ampiamente familiare e comune fino all’800, quando definiva normalmente l’omosessuale passivo o il prostituto. Il termine deriva dall’arabo “bardag”, ovvero “schiavo giovinetto”, che a sua volta proviene dal persiano “hardah”, “schiavo” appunto. Il corrispondente francese cinquecentesco “bardaches” passò presto ad indicare quegli sciamani appartenenti alle tribù dei nativi americani che praticavano il travestitismo (crossdressing), le persone cioè possedute dai “due spiriti”.

BUSONE

Usato anche al femminile (“busona”), accrescitivo di “buso” (“buco”), è un regionalismo tipicamente emiliano-romagnolo.

GARRUSU

Termine siciliano che indica l’omosessuale passivo. Ancora una volta ci troviamo di fronte all’equiparazione fra il giovane e l’omosessuale passivo (come per “bardassa”). L’etimologia fa riferimento perlopiù all’arabo “(c)arùs”, “fidanzata”, “giovane” e potrebbe essere la stessa del controverso “carusu”, ovvero “ragazzo”.

INVERTITO

Questo è un termine per così dire “artificiale”, quello che i linguisti chiamano un “calco”. Nato nel 1878 nell’articolo per iniziativa di Arrigo Tamassìa, che cercava un corrispondente adeguato del tedesco “Conträrsexuale” (tradotto poco elegantemente da qualcuno come “sessual-contrario” o “contrarsessuale”). Gli scienziati della fine dello scorso secolo (e Tamassia con loro) ritenevano infatti che l’omosessualità fosse una condizione in cui nell’organismo di un determinato sesso si osserva un “atteggiamento tipico dell’altro sesso”, ovvero, per l’appunto, invertito.

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Franco Andrea 31.7.16 - 7:44

Un po' di cul-tura... :)

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