La LILA Onlus – Lega Italiana per la Lotta contro l’Aids, ha partecipato alla XXVII Conferenza sui Retrovirus ed Infezioni Opportunistiche – CROI 2020, andata in scena a Boston, negli Stati Uniti, dall’8 all’11 marzo 2020. Tra le tante notizie, spicca quella che ha visto gli scienziati sviluppare il primo vaccino che induce le cellule umane a generare anticorpi ampiamente neutralizzanti contro l’HIV.
La maggior parte dei vaccini funziona inducendo le cellule B del sistema immunitario a produrre anticorpi. Sebbene in passato alcune sperimentazioni avessero dimostrato che certi vaccini per l’HIV possono indurre risposte anticorpali al virus, questi si sono rivelati inefficaci (come nel caso del recente studio HVTN 702) o solo marginalmente efficaci (come nello studio sul vaccino RV 144). Gli anticorpi ampiamente neutralizzanti (bNAb) potrebbero costituire la base di potenti vaccini e trattamenti, anche grazie alla loro azione contro un’ampia varietà di ceppi virali. L’anno scorso, un vaccino oggetto di studio ha indotto con successo la produzione di bNAb nelle scimmie. Lo studio è al momento in corso sugli esseri umani.
Ebbene quest’anno, a CROI è stata presentata una tecnologia diversa: uno studio del National Institutes of Health degli Stati Uniti che ha utilizzato un vaccino a vettore virale. Si tratta del guscio dell’adenovirus AAV-8, i cui geni virali sono stati sostituiti da spezzoni di DNA che codificano per la produzione di VRC07, un bNAb ampiamente utilizzato negli studi per sviluppare il trattamento, la PrEP e una cura per l’HIV. In uno studio sulla sicurezza di fase I, il vaccino è stato somministrato a otto volontari HIV-positivi. Ai primi tre volontari è stata somministrata una dose di 50 miliardi di genomi vettoriali per chilogrammo di peso corporeo. Tre mesi dopo, ad altri due volontari è stata somministrata una dose di vaccino contenente dieci volte il numero di vettori per chilogrammo (500 miliardi). Agli ultimi tre volontari è stata somministrata una dose cinquanta volte superiore alla dose originale (2,5 trilioni di vettori/kg). Tutti i volontari a cui è stato somministrato il vaccino hanno prodotto anticorpi VRC07, in misura maggiore o minore. Tuttavia, trattandosi di uno studio sulla sicurezza, non sappiamo ancora se i livelli di VRC07 prodotti siano sufficienti per un effetto antivirale. Questo studio è la prima prova che un vaccino può indurre la produzione di bNAb negli esseri umani.
E non è finita qui. Uno studio sull’aspettativa di vita ha confermato ancora una volta che le persone HIV-positive che iniziano in tempo la terapia antiretrovirale (ART) e hanno un buon accesso alle cure vivono quanto i pari HIV-negativi. I dati si riferiscono a 39.000 persone HIV-positive e 387.767 persone HIV-negative. Ogni soggetto HIV-positivo è stato abbinato a 10 HIV-negativi in base a parametri di età, genere, etnia e anno di sottoscrizione. I risultati presentano un’aspettativa di vita in costante aumento per le persone con HIV durante tutto l’arco dello studio, dal 2000 al 2016. Se nel 2000 l’aspettativa di vita delle persone con HIV era in media inferiore di 22 anni rispetto a quella delle persone HIV-negative della coorte, nel 2016 la differenza si è ridotta a 9 anni. Prima del 2016, se la persona con HIV avesse iniziato la terapia antiretrovirale con una conta dei CD4 superiore a 500, l’aspettativa di vita sarebbe stata presumibilmente un po’ più lunga rispetto a una persona HIV-negativa.
I ricercatori hanno anche investigato la presenza di indicatori di patologie croniche epatiche (tra cui epatite B o C), renali e polmonari, patologie cardiovascolari, ma anche diabete o cancro. Dai risultati emerge che le persone affette da HIV vivono molti meno anni in salute rispetto alle persone non affette. Nel periodo dal 2014 al 2016, se una persona HIV-positiva di 21 anni poteva aspettarsi di arrivare all’età di 36 senza contrarre nessuna di queste patologie, un pari HIV-negativo poteva arrivare fino a 52. Nei pazienti con HIV, le patologie epatiche sono insorte 24 anni prima, le patologie renali 17 e quelle polmonari 16. Il limite potenziale dello studio è però che i pazienti affetti da HIV tendono ad essere maggiormente monitorati rispetto alla popolazione generale, il che potrebbe portare ad una diagnosi delle patologie croniche in età più precoce.
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