Strana usanza quella dei gay: colorare le città d’arcobaleno per commemorare quei tristi giorni del’69. Siamo forse l’unica comunità del mondo a festeggiare un’insurrezione: gli unici che sfilano con carri e musica a tutto volume, irriverenti viste le botte, gli insulti e le violenze che i clienti dello “Stonewall Inn” subirono quella notte del 1969. Ma forse è proprio il bello della nostra strana comunità.
Il 28 giugno di quell’anno la polizia fece irruzione in un bar gay del Greenwich Village di New York.
Lo Stonewall Inn
I bar gay erano legali e così lo Stonewall, con la differenza che là venivano serviti liquori senza averne la licenza, c’erano legami con il crimine organizzato, e come intrattenimento venivano forniti dei “go-go boys” mezzi nudi. Almeno, questo diceva la polizia. Non era comunque la prima volta che le forze dell’ordine operavano raid in quel locale. Il proprietario era talmente usuale alle prepotenze di tal genere che riusciva a riaprire il locale nella notte stessa o, comunque, il giorno dopo.
Quella notte
Ma quella notte, quella particolare notte era diversa da tutte le altre e avrebbe segnato la rottura dal passato e l’intolleranza dei clienti dello Stonewall nei confronti degli abusi polizieschi. Ciò che rese quella notte diversa fu principalmente uno: il funerale di Judy Garland, icona gay per eccellenza e al funerale della quale partecipò in massa tutta la comunità GLBT americana proprio il giorno prima, segnandola in profondità dal punto di vista emotivo. È questa la tesi di un film del 1995 diventato celebre e dal titolo appunto di “Stonewall” anche se la mobilitazione del ’68 e quella contro la guerra in Vietnam non andrebbero sottovalutati come elementi che acuirono lo scontro frontale.
I moti
Fatto sta che i quattro agenti che entrarono nel bar non se la videro bene. Una transgender, Sylvia
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I moti
Fatto sta che i quattro agenti che entrarono nel bar non se la videro bene. Una transgender, Sylvia Rivera, dopo essere stata pungolata con un manganello, scagliò una bottiglia contro uno di loro. Fu la miccia che accese la rabbia di tutti gli altri clienti. Alcuni scapparono, altri decisero di essere in prima linea negli scontri al grido di “gay power” (che riprendeva quello “black power”, usato dai neri per rivendicare i loro diritti).
I rinforzi della polizia non seppero affrontare la rabbia, repressa per anni, dei 2.000 omosessuali intenti a scagliare pietre e oggetti vari contro le pattuglie. Così il giorno dopo e cinque giorni dopo. Da allora la voglia di rivincita della comunità GLBT non fu mai più repressa e in tutta America fiorirono associazioni “di liberazione” e “di rivendicazione”.
Da allora…
Ad un anno dagli scontri 10.000 persone si trovarono davanti al locale per commemorare quei giorni di rabbia, botte, insulti e violenze creando un precedente imitato in tutto il mondo, una marcia ispirata ai moti di Stonewall.
In Italia
In Italia quella marcia, che prese il nome di “orgoglio gay”, arrivò tardi, nel 1994. Tra gli organizzatori una transgender di nome Vladimir Luxuria, oggi deputato alla Camera fra i banchi di Rifondazione Comunista. Dodici anni dopo nel nostro paese si parla di “unioni civili”, i ministri appoggiano le nostre richieste, molti comuni hanno istituito un registro ad hoc, l’Europa ci tutela, il cinema ci ha rappresentato nelle vesti di cowboys, e una folta schiera di giovani ragazzi frequenta liberamente locali gay. Senza paura di incursioni.
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di Daniele Nardini
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