«Cioè, oggi non ha senso dire mi piace la figa, mi piace il cazzo: siamo nel 2006…»
Queste le parole che giungono distintamente al mio orecchio, appena salito sul treno, con il solito trolley che ha sbandato per tutta la stazione (perché li costruiscono con le ruote troppo vicine?), accaldato, sfatto, in cerca del mio posto che ovviamente è in fondo che più in fondo sarebbe impossibile, vicino alla porta del bagno, ovviamente rotta e con la puzza di piscio e sigarette come unica fedele compagna.
Una sbirciatina e vedo che sono quattro ragazzi e non sembrano certo quattro checche (niente contro le checche, solo una constatazione). Giovani, carini, un’aria molto comune, non fashion, non strapieni di tatuaggi o di piercing, senza capelli colorati o accessori vistosi. Quattro ragazzi dall’aria normale, come ce ne sono davvero tanti. Solo che quei tanti non li avevo mai sentiti dire frasi del genere (specialmente in pubblico).
Poso il trolley, lascio il giornale sul mio sedile, prendo fiato e coraggio e torno da loro. Mi siedo di fianco e domando scusa se li importuno ma «sono un giornalista e mi occupo di sesso. Inavvertitamente ho sentito quello che dicevate – sul cazzo e sulla figa – e vorrei farvi alcune domande. Se permettete…».
Mi sono concesso tante libertà, lo ammetto. Spacciarmi per giornalista, buttare lì quell’inavvertitamente che aggiunge un tocco di porcone alla mia aria sfatta e sudata. Sudata, come da peggior tradizione dei porconi, lo so, ma vorrei vedere voi al posto mio: in treno di corsa, stanco, con lo sbalzo delle temperature, a fermare quattro ragazzetti e intavolare un discorso di sesso non per provarci ma veramente per cercare di conoscere… Sì, veramente! Non è possibile che non mi si prenda mai sul serio! Che diamine! Anche se…
Anche se…
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Anche se effettivamente sono proprio carini, con quell’aria normale, quel tono tranquillo e soprattutto quei discorsi così razionali e al tempo stesso intriganti. Ragazzi di 17 anni (tutti e quattro) capaci di confessare davanti agli amici e ad uno sconosciuto di aver perso la verginità molto presto, di avere un rapporto molto aperto con il sesso, che non concepiscono come qualcosa di rigido, dalle barriere insormontabili.
«Nessuno di noi si può dire completamente eterosessuale», ammette uno. Un altro accenna una lievissima protesta, forse per affermare la sua passione per le ragazze. Ma non ce n’è bisogno. Il punto non è mettere in discussione questo. Non siamo tutti gay, repressi, velati o manifesti. Semplicemente non siamo poi così definitivamente ripartiti, se non per questioni culturali.
I ragazzi(ni?) emiliani – perché a questo punto va precisato che ci troviamo sulla tratta Parma-Reggio Emilia – o almeno i ragazzi(ni?) che ho davanti, hanno la curiosità di sperimentare, di lasciarsi andare, il coraggio di provare e di godere senza temere che questo li possa marchiare per sempre davanti agli amici o a se stessi. Fanno quello che capita, quando capita, come capita, purché ne abbiano voglia.
E la mia curiosità non è in quel momento di sapere cosa abbiano fatto e se abbiano provato piacere, ma di verificare che oggi per alcuni giovani eterosessuali (mi permetto di usare io questo termine, visto che loro non se ne servono per pavoneggiarsi o schermirsi di fronte alle mie domande) la questione gay non esiste più. E la sessualità è vista per quella che forse è: un piacere da cogliere e non un segreto di cui vergognarsi.
Penso che, una volta giunto a Roma, la prima cosa sarà chiedere a mio fratello 21enne perché la Capitale non sembra altrettanto aperta, perché i romani sono più animali da branco, perché hanno bisogno di rumoreggiare, di mostrarsi fanfaroni. E perché in certe zone del Sud ma anche del Nord(est) la situazione sembra ancora più grave. Forse questa mancanza di tabù è solo un fatto regionale? Oppure sono stato fortunato io a trovare questo gruppetto vivace e disinibito?
Certo che quattro su quattro non può essere solo una coincidenza. Bisognerebbe scoprire quanti altri giovani emiliani la pensano nello stesso modo e se pure i gay da quelle parti sono altrettanto “moderni”. In genere i gay lo sono o meglio lo erano, perché le nuove generazioni romane mi sembrano sempre meno moderne e sempre più No Sex, come ho scritto tempo addietro.
Vorrei chiedere tante altre cose a quei quattro, cosa pensano dei gay, del papa, dei politici, dei diritti civili, ma è arrivato il controllore e ho scoperto che i giovani-disinibiti-eterosessuali-senza preclusioni emiliani non sono troppo diversi dai fanfaroni romani e hanno in mano un biglietto non valido. Vabbè, visto che a Reggio (Emilia) manca poco distraiamo il controllore, ché questi quattro la multa proprio non se la meritano…
Flavio Mazzini, trentacinquenne giornalista, è autore di Quanti padri di famiglia (Castelvecchi, 2005), reportage sulla prostituzione maschile vista “dall’interno”, e di E adesso chi lo dice a mamma? (Castelvecchi, 2006), sul coming out e sull’universo familiare di gay, lesbiche e trans.
Dal 1° gennaio 2006 tiene su Gay.it la rubrica Sesso.
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di Flavio Mazzini
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