"Bach è la prova dell’esistenza di Dio": questa la scritta che sfoggiava con somma eleganza, tatuata in hennè lungo l’intero braccio destro, Isabelle Huppert alla prima a Cannes de ‘La pianista‘ di Michael Haneke, film in uscita nelle sale italiane solo adesso. E Cannes ha portato fortuna al regista austriaco, attribuendogli ben tre premi (Gran Premio della Giuria e doppia Palma d’Oro ai protagonisti) e insidiando da vicino il nostro Moretti a cui è andato il premio supremo per l’elogiata ‘Stanza del figlio‘.
Michael Haneke è uno dei più interessanti tra i nuovi autori europei (e odiato dallo stesso Moretti): filosofo austriaco, barba bicolore, viso scavato e occhiale tondo nero, acuto ideatore di algide riflessioni sul tema della violenza soprattutto in ambito privato (ma sempre fuori campo: in ‘Benny’s Video‘ due genitori occultavano l’omicidio del figlio che per noia uccideva una coetanea, in ‘Funny Games‘ due ragazzotti benestanti e benvestiti massacravano sistematicamente una famigliola per bene in vacanza sul lago, nell’angosciante capolavoro ‘Il settimo continente‘ una famiglia depressa si chiudeva in casa dopo aver accumulato cibo per mesi, distruggeva tutto ciò che aveva all’interno dell’abitazione e poi si suicidava), affronta nell’inquietante ‘La pianista‘ la complessa personalità di un’insegnante di conservatorio, Erika Kohut, interpretata magistralmente da Isabelle Huppert.
Severa e imperturbabile sugli 88 tasti, Erika cela una sessualità morbosamente complessa e frigida, tra il voyeurista e il masochista: si mette a spiare le coppiette nei drive-in orinandoci vicino, annusa i fazzoletti intrisi di sperma nelle cabine porno dei sex-shops e si tagliuzza la vagina nella vasca con una lametta da barba. E mostra una insolita tendenza all’incesto – da notare che rarissimamente il cinema ha affrontato l’incesto omosessuale al femminile – a causa dell’ossessivo rapporto d’amore-odio con la madre anziana, una perfetta Annie Girardot (dormono nello stesso letto e in una scena la bacia sulla bocca dicendole che l’ama). Quando il giovane e affascinante Walter (Benoit Magimel) entra nella sua vita iniziando a frequentare i suoi corsi e dichiarandole il suo amore, Erika vede destabilizzarsi l’equilibrio di entrambi.
Lei vuole dettare le regole (scritte, con tanto di pugni su ordinazione) ma ben presto non regge più il gioco mentre lui scopre le inquietanti devianze della professoressa reagendo a sua volta in modo violento.
Solo una grande attrice poteva dare le giuste sfumature a un personaggio così articolato e difficile, un’attrice ‘quasi zen’ come è stata definita la Huppert per l’inflessibile capacità di sopportare lunghissimi primi piani e comunicare quell’affascinante e altera ambiguità che la rende inconfondibile. E lei si presta con doverosa funzionalità alla bravura del regista che va a fondo nell’esplorare una sessualità contorta, sofferente, nevrotica, senza alcuna concessione al voyeurismo: non si vede un centimetro di pelle nelle scene di sesso e nelle mutilazioni genitali si intravedono solo scie e gocce di sangue.
Nessuna interpretazione morale o moralista, nessuna spiegazione, solo lo sguardo clinico e radicale, quasi da socio-entomologo, del distaccato Haneke. E dall’alto della sua perfezione, la musica di Bach e Schumann avvolge lo spettatore.
Un film intrigante, spiazzante, a volte troppo programmatico nella sua freddezza e originalità, ma distante mille miglia da tanta fuffa cotta e precotta di molto cinema contemporaneo. E col grande merito di rivendicare alla donna una prerogativa da sempre concessa al maschio, almeno in campo sessuale, quella di guardare.
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