Prima cosa: avrete forse notato che in televisione sta passando una pubblicità progresso ammonitrice perché in Italia lo stipendio medio di una donna è la metà di quello di un uomo. Seconda cosa: se qualcuno ha avuto a che fare con gay anglosassoni e nordeuropei in visita nel nostro paese, avrà notato il loro stupore per il numero di omosessuali italiani particolarmente effeminati.
Apparentemente queste due cose non dovrebbero avere niente a che fare l’una con l’altra. In realtà, il loro collegamento è la chiave per capire il fenomeno della cosiddettà "omosessualità mediterranea". Questa definizione inquadra un modo di vivere l’omosessualità tipico delle nostre latitudini, che consiste nello sviluppo di un’identità gay caratterizzata da una buona dose di femminilità.
Quali sono le ragioni di questo atteggiamento? Secondo diversi luminari in gender-studies (tra cui R.W. Connel e D. Buchbinder) è necessario partire un dato di fatto storico: nei paesi del bacino mediterraneo le donne sono state sottomesse ai maschi per millenni, e molto più a lungo delle loro colleghe nei paesi nordici. Questo ha determinato la segregazione e la svalutazione del sesso femminile, con tutta una serie di ripercussioni culturali e sociali ben visibili anche oggi.
Le grandi religioni mediterranee (da quelle antiche al cattolicesimo) hanno sempre ribadito la legittimità di questi concetti, contribuendo non poco a consolidare la situazione nei secoli. Fatto sta che gli omosessuali mediterranei hanno potuto trovare i loro primi spazi di libertà, aggregazione e tolleranza compensando il vuoto culturale, sociale e sessuale dovuto alla segregazione femminile, e questo – a livello più o meno inconscio – li ha spinti a crearsi un’identità culturale e sociale adeguata a questa situazione, introiettando stereotipi e atteggiamenti associati alla femminilità. Quando poi le donne hanno iniziato ad emanciparsi, queste dinamiche sociali erano talmente rodate e consolidate che in diverse realtà, tra cui la nostra, le pressioni sociali e culturali che spingono i gay verso un’identificazione femminile sono rimaste molto più forti che altrove, tant’è che dai noi l’effeminatezza rimane un canale privilegiato per ottenere una relativa tolleranza sociale, per favorire certe dinamiche di aggregazione e per avere una qualche forma di visibilità (basti pensare ai gay che compaiono nella TV italiana o a quelli che ispirano i testi delle canzoni di Sanremo). La stessa abitudine ad usare aggettivi scherzosi coniugati al femminile presso la comunità gay è un dato di fatto abbastanza significativo. Allo stesso modo si spiega il successo della moda metrosexual nella comunità gay in Italia, quando all’estero è stata vissuta con un approccio decisamente più blando.
Cosa succederà adesso che i modelli di riferimento della comunità gay internazionale stanno cambiando? Ultimamente, a partire dagli USA, stanno prendendo piede modelli gay decisamente più virili, negli atteggiamenti e nell’aspetto, con tanto di barbe, pelo e muscoli. Attenzione però: non è una riproposta del gay baffuto degli anni 70 e 80 (il cosiddetto "clone di S.Francisco"), del modello bear/leather o una variante del metrosexual palestrato. È un modello nuovo, che sembra ispirato dalle nuove generazioni di pornoattori: supermaschi e affabili, caserecci e curati al tempo stesso. Probabilmente la comunità gay di oggi sta cercando di riaffermare la sua identità in maniera più autonoma, partendo da modelli estetici che non sono funzionali alle aspettative della società. Cosa succederà quando questo nuovo modello raggiungerà l’Italia? I gay italiani saranno disposti a rinunciare alla stabilità dei loro compromessi storici e alla relativa sicurezza dei modelli gay tipicamente mediterranei? Chi vivrà vedrà.
di Valeriano Elfodiluce
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