«Anche se mio culo era rotto, sapevo che il resto del viaggio sarebbe stato un grande successo» si giustifica il telereporter kazako Borat Sagdiyev dopo essersi (ingenuamente?) portato in camera d’albergo due fusti muscolosi caricati al Pride di Washington con cui, dopo la tradizionale lotta corpo a corpo del suo Paese, fa la doccia e viene fistato gaiamente con un dildo a forma di pugno (non si vede, ovviamente, ma Borat lo racconta a un esterrefatto deputato repubblicano «che ha la faccia di vera cioccolata, senza fondotinta»). E alla parata dell’orgoglio gay non esita a ballare su un carro colorato, a baciare sulla bocca un partecipante, a soppesare con gusto il sesso di un leather borchiato: e poi volevano venderci Borat come un film omofobo!
Ma è solo l’inizio: l’intero viaggio di Borat da New York alla California, alla ricerca dell’amata bagnina di Baywatch Pamela Anderson vista in tv, è caratterizzato da un rapporto quantomeno ambiguo col produttore obeso Azamat Bagatov (l’attore americano Ken Davitian che faceva Pavarotti ne Il silenzio dei prosciutti di Greggio): dormono nello stesso letto matrimoniale, Azamat gli asciuga il sesso bagnato con un phon rosa, poi Borat si gira e gli chiede «Com’è la mia f*** di dietro (backpussy)?». «Non male, umida!» gli risponde lo strabordante Ollio kazako. I due faranno poi una lunga lotta completamente nudi, vera e propria scena porno con tanto di sessantanove e rimming (il pene del protagonista è coperto da una pecetta inservibile nel caso di Davitian: è talmente grasso che l’immensa pancia gli copre le parti intime). Sempre in tenuta adamitica, Borat e Azamat si inseguono per tutto l’hotel fino a piombare in un congresso di immobiliaristi dove l’accoppiamento-bagarre continua sul palco tra lo stupore dei presenti.
A vestire – nelle altre scene – i panni del misogino e antisemita Borat è l’attore inglese ebreo Sacha Baron Cohen, Globo d’Oro come migliore attore comico, una sorta di sintesi postmoderna fra Groucho Marx e Peter Sellers, semplicemente strepitoso: il suo fine è mostrare il razzismo latente, il terrore del diverso, il nazionalismo ossessivo dell’America post-11 settembre con uno stile molto contemporaneo che mixa con originalità una struttura narrativa da road movie classico, candid camera da reality televisivo e finto documentario d’inchiesta, il cosiddetto mockumentary (geniale l’incursione nel meeting di pentecostali, una perla alla Michael Moore che non a caso è un amico del regista Larry Charles).
Riuscendo brillantemente nell’intento grazie al ritmo veloce…
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Riuscendo brillantemente nell’intento grazie al ritmo veloce (l’intero film dura solo 82 minuti) e a una serie di gag strepitose – la presentazione del villaggio kazako che incornicia il film, l’intervista alle femministe, la notte dai vecchietti ebrei che Borat teme si siano kafkianamente reincarnati in due scarafaggi – capaci di mettere alla berlina l’anima più conservatrice e bigotta dell’America multiculturale con uno spirito demenzial-chic che non scade mai nel cattivo gusto o nel facile trash. La sceneggiatura asciutta in cui però i vari episodi sembrano un po’ incollati come se fosse uno show televisivo, è stata addirittura candidata all’Oscar, nomination forse eccessiva ma teniamo presente che negli Usa Borat ha animato accesi dibattiti ed è stato un incredibile successo: costato 12 milioni di dollari ne ha incassati più di 128 in patria e altri 120 in giro per il mondo.
Nell’esemplare scena del rodeo, Borat spiega come vengono trattati gli omosessuali nel suo paese: «Li prendono, li portano in carcere e li finiscono». «Andare in giro ed inforcarli? È quello che stiamo cercando di fare qua!» ribatte il country man che un attimo prima l’ha preso in giro perché Borat ha tentato di baciarlo sulla guancia. E per tutto il film, pervaso da un senso di cameratismo molto filogay, Borat bacia solo uomini a parte la sorella Natalia, quarta prostituta del Kazakistan con tanto di coppa-premio. Ma nel suo Paese i gay, fino al 2004, sono stati costretti a indossare bizzarri cappelli blu per essere riconosciuti, quindi la vita omo non dev’essere stata facile!
Gli abitanti del villaggio romeno Glod in cui sono state fatte le riprese del villaggio kazako hanno intentato una causa legale (tra le molte in cui è incappato Borat) chiedendo 30 milioni di dollari ai produttori della Fox per essere stati coinvolti nel film con l’inganno e ricompense da fame, senza sapere che sarebbero stati presi in giro e denigrati come stupratori e prostitute. In particolare, è andato su tutte le furie il contadino mutilato a cui viene fatto fare un uso decisamente improprio del dildo oltraggiosamente ‘comunista’ di cui parlavamo prima.
Sacha Noam Baron Cohen, questo il nome completo dell’attore protagonista, è stato lanciato dal suo programma tv Da Ali G Show in cui sono nati vari personaggi tra cui il gangsta-rapper idiota che dà il titolo allo spettacolo, lo stesso Borat e il fashion reporter austriaco gay Bruno, irriverente protagonista del suo prossimo film. L’omosessualità è ricorrente nei suoi ruoli cinematografici: era già stato gay – un pilota francese con fidanzato al seguito – nella commedia americana sulle corse automobilistiche Ricky Bobby: la storia di un uomo che sapeva contare fino a uno ma, nonostante una certa predisposizione queer, l’altissimo Cohen (1.91 metri) è eterosessuale e fidanzato con l’attrice australiana Isla Fisher.
Noi abbiamo visto il film sottotitolato e non osiamo immaginare come si possa doppiare Borat (la versione italiana avrà la voce di Pino Insegno) anche perché i dialoghi sono giocati su uno slang estremamente particolare in cui si mescolano americano, ebreo, russo, polacco, ceco e altri idiomi dell’Est per dare vita a bizzarri neologismi: il sesso maschile diventa khram (in russo ‘tempio’), gli omosessuali sono Lolli-lolli-lolli mentre Jagshemash è il saluto classico del reporter e sta per ‘Come stai?’.
Chissà se Borat, che uscirà domani, avrà in Italia lo stesso impatto degli Usa: la campagna di promozione è stata molto meno massiccia da noi e il nostro pubblico è purtroppo abituato a una comicità slapstick alla Vanzina, sicuramente meno intelligente. Per questo vi consigliamo di vederlo: perché non promuovere Borat a vera icona gay del 2007?
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