La storia di Jeanne Baret, prima esploratrice donna ad aver circumnavigato il globo in abiti maschili

Beret è stata una donna in un’epoca in cui era difficile rivendicare la propria individualità femminile, ha sfidato le convenzioni sociali con un travestimento scandaloso e ha ricevuto, per la determinazione di tutta la sua condotta, il riconoscimento meritato.

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Era il freddissimo dicembre del 1766 quando la spedizione dell’ammiraglio e matematico francese Louise Antoine de Bougainville partì dal porto di Rochefort. Al naturalista Philibert Commerson e al suo “assistente”, Jeanne Baret, in virtù della quantità di strumenti scientifici trasportati per gli studi naturalistici che avrebbero compiuto, fu concesso l’uso dell’ampia cabina del capitano. Questo permise loro, per ben due anni, di nascondere la vera identità di Jeanne.

Assunta come casalinga nell’abitazione dello scienziato – già sposato con un’altra donna – tra il 1760 e il 1764 ebbe con lui una lunga storia d’amore, culminata con la nascita di un bambino illegittimo. Quando il cagionevole Philibert fu invitato a partecipare a una spedizione che lo avrebbe portato fino in sud America, prese piede l’idea di travestire Baret per accompagnarlo. A quel tempo la legge francese proibiva alle donne di imbarcarsi in simili spedizioni.

Dal sud America, dove vennero raccolti fiori di una pianta chiamata successivamente Bougainvillea in onore del capitano, si passò al Pacifico. Il piano, nonostante oggi possa sembrare paradossale, funzionò fino all’arrivo sull’isola di Haiti. Qui accadde un episodio davvero particolare: Ahu-Toru, capo villaggio polinesiano successivamente portato in Francia, accusò Jeanne di essere un Mahu. In tutte le lingue dell’arcipelago polinesiano esisteva un termine per indicare un uomo con corpo femminile o una donna con corpo maschile, Mahu appunto. Non che mancassero già i sospetti: i diari degli ospiti di bordo riportano diversi aneddoti nei quali emerge chiaramente che il misfatto fosse stato svelato, senza che potessero essere presi particolari provvedimenti. Sappiamo per certo che qualche settimana dopo Jeanne fu addirittura sorpresa nuda ed “esaminata” a bordo della nave, senza che nessuno dei presenti (forse per pudore) riporti alcun dettaglio nelle proprie memorie. Arrivata alle Mauritius, la coppia decise di fermarsi ospite di un amico botanico e sciogliere l’imbarazzo ormai dilagante tra i compagni di viaggio. Qui passarono diversi mesi fino alla morte di Philibert nel febbraio 1773.

Rimasta sola, la donna riuscì prima a trovare impiego come cameriera e poi, successivamente, a tornare in patria e completare il giro del globo. Come riconoscimento, la marina le concesse una pensione di 200 livree e le riconobbe l’impegno e i rischi corsi negli anni a sostegno della causa scientifica.

La storia è costellata di piccoli aneddoti apparentemente insignificanti e privi d’importanza, che a distanza di tempo sanno però rivelarsi per quello che sono, delle vere rivoluzioni. Jeanne Beret, compagna di un uomo sposato, madre di un figlio illegittimo, travestito imbarcato su una nave di soli uomini, Mahu delle isole Polinesiane, lavoratrice vedova su un’isola delle Mauritius, nonché prima esploratrice donna ad aver completato il giro del mondo nel lontanissimo (storicamente e culturalmente parlando) diciottesimo secolo, è esempio di come i cambiamenti, a livello culturale, siano fatti dall’azione di modesti individui, apparentemente mai coinvolti nei grandi processi storici. Beret è stata una donna in un’epoca in cui era difficile rivendicare la propria individualità femminile, ha sfidato i canoni e le convenzioni sociali con un travestimento scandaloso, e ha poi ricevuto, per la determinazione di tutta la sua condotta, il riconoscimento meritato.

Jeanne Beret è riuscita, in un’epoca di superstizioni e ignoranza, a spingersi contro le convenzioni. In una civiltà come la nostra, in cui sembrano ancora sopravvivere le medesime paure verso l’autonomia delle donne e l’identità di genere, meriterebbe una menzione in tutti i manuali scolastici.

 

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