L’Alta Corte del Kenya ha purtroppo respinto un ricorso che chiedeva a gran voce l’abolizione delle leggi omofobe di epoca coloniale, introdotte dall’Impero britannico nel lontanissimo 1930. Il motivo del rifiuto? L’eventuale consenso, incredibile ma vero, avrebbe potuto spalancare la strada al matrimonio egualitario. Non sia mai.
“Riteniamo che la sezione del Codice penale su cui è stato presentato ricorso non è incostituzionale, per questo respingiamo il ricorso”, ha tuonato il giudice Roselyne Aburili, scatenando la rabbia e le proteste delle associazioni LGBT kenyote.
Le sezioni 162 e 165 del Codice Penale del Kenya criminalizzano il comportamento omosessuale e il tentativo di comportamento omosessuale, riferito come “conoscenza carnale contro l’ordine della natura”, stabilendone la punizione, che può andare dai 5 ai 14 anni di prigione. Secondo la sentenza, l’articolo 45 della Costituzione rimarca come “ogni persona adulta ha il diritto di sposarsi con una persona del sesso opposto”, mentre non esistendo prove scientifiche che gli omosessuali sarebbero “nati con tale orientamento”, non necessiterebbero di considerazione speciale all’interno della Costituzione. Peccato che qui si parli di pura e semplice discriminazione, a sfondo criminale. Ma non a detta dei giudici, che sottolineano come le leggi attuali puniscano “ogni persona”, senza fare riferimento esplicito agli omosessuali.
I tre giudici hanno quindi affossato il ricorso presentato 3 anni or sono dall’attivista Eric Gitari, che chiese una sentenza di incostituzionalità nei confronti del codice penale, perché a suo dire discriminatorio nei confronti delle persone LGBT.
Téa Braun, direttore del Human Dignity Trust, ha dichiarato a PinkNews: “Questa sarebbe stata la prima decisione giudiziaria d’Africa sulla questione della criminalizzazione LGBT dal 1998, e avrebbe potuto segnalare l’inizio del più ampio smantellamento di queste leggi arcaiche e discriminatorie. La tendenza in tutto il Commonwealth e nel mondo è già chiara: queste leggi non hanno posto in una democrazia costituzionale e devono essere cancellate”.
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