Sul fatto che James Franco sia “gay nell’arte, etero nella vita”, come si definisce, potremmo disquisire per ore ma diamolo per assodato. Ecco quindi King Cobra di Justin Kelly, il suo ennesimo film queer (ricordiamo Milk, I Am Michael, Interior. Leather Bar, Urlo), che abbiamo visto in anteprima italiana al Torino Film Festival dove è stato accolto da un tiepido applauso.
Tratto dal romanzo Cobra Killer: Gay Porn, Murder, and the Manhunt to Bring the Killers to Justice (Cobra Killer: Porno Gay, Omicidio e la Caccia per Consegnare gli Assassini alla Giustizia) di Peter A. Conway e Andrew E. Stoner, ricostruisce la storia vera del produttore Bryan Kocis, proprietario della Cobra Video, una casa di produzione porno gay, assassinato brutalmente nel 2007 a 44 anni da due escort, Harlow Cuadra e Joseph Kerekes. L’anima del film è proprio il personaggio di Bryan che diventa Stephen, interpretato assai bene e con grande varietà di sottotoni da Christian Slater, innamorato di un morbido twink che lanciò con enorme successo sul web, l’efebico Sean Paul Lockhart in arte Brent Corrigan (Garrett Clayton, sexy e malizioso come l’originale) che quasi arriva a segregare nella sua casa-studio.
Quando Brent rompe definitivamente col produttore, costui lo diffida dall’usare il suo nome d’arte di cui aveva i diritti, interrompendogli di fatto la carriera nel porno. È qui che subentra James Franco nel ruolo di Joe, titolare di una casa di produzione hard gay rivale, la Viper Boys, innamorato specularmente del suo protégé Harlow – l’adone dai muscoli guizzanti Keegan Allen – che fa prostituire non senza crisi di gelosia. Quando si trova sull’orlo del lastrico per un debito insormontabile, vede la possibilità di reclutare Brent Corrigan come la soluzione ai suoi problemi: scoprendo però che costui non può utilizzare il suo nome d’arte per colpa di Stephen, inizia a maturare con Harlow un piano scellerato per farlo fuori.
C’è una certa ironia nel tratteggiare l’universo pulsionale e sotto sotto infantile di questo mondo hard-web piuttosto casalingo e artigianale (certo, non è Boogie Nights, ma i tempi sono anche cambiati) ed emerge un immaginario erotico queer ‘catalogatorio’ tipico della YouPorn generation: feticismo basico – soprattutto le dita dei piedi – jockstraps, docce, assenza di pelo. Si evidenzia come le ambizioni delle due coppie speculari (da un lato Stephen e Brent, dall’altro Joe e Harlow) abbiano gli stessi miraggi consumistici, ossia acquistare auto di lusso come simbolo del benessere economico: il denaro è visto come l’unico obiettivo finale per cui non ci deve essere alcuna remora, mediatore universale utile anche per tenere legato a sé il partner attraverso regali costosi come orologi e collanine d’oro.
James Franco gigioneggia però un po’ troppo e a tratti la sua interpretazione sfiora il macchiettistico (risate in sala alla sua sequela di ‘Fuck!’ quando perde il controllo al telefono con Stephen). Peccato inoltre che la regia si appiattisca spesso su stilemi televisivi e la fotografia umbratile generi uno strano contrasto con la perfezione dei corpi maschili.
King Cobra non ha ancora una distribuzione italiana ma potrebbe entrare nell’orbita di case gay-friendly quali Teodora o Lucky Red.