Klaus Davi, minacciato di morte da clan della ‘ndrangheta, rivela: “Quei post omofobi un segnale in codice”

"Aspetterò sotto casa chi ha scritto quelle cose e chiederò chiarimenti. Fermo non sto, questo è sicuro."

Klaus Davi, minacciato di morte da clan della 'ndrangheta, rivela: “Quei post omofobi un segnale in codice" - klausdavi - Gay.it
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Ha passato un’estate turbolenta il massmediologo Klaus Davi, titolare di una prestigiosa agenzia di comunicazione, nonché giornalista impegnato contro la criminalità organizzata, da sempre vicino al mondo LGBT. Tutto origina da una lettera aperta indirizzata a Giovanni Tegano, incensurato rampollo di una famiglia molto nota, anche a livello internazionale, per gli efferati crimini di alcuni suoi componenti, in primis lo zio Giovanni, catturato nel 2010 dopo 17 anni di latitanza, accusato tra l’altro di essere coinvolto nell’omicidio del proprio nipote e ora condannato all’ergastolo.

Attraverso la lettera, Davi ha criticato il  comportamento del giovane Tegano e gli attacchi rivolti alle forze dell’ordine e i collaboratori di giustizia postati sul proprio profilo pubblico Facebook. All’indomani della pubblicazione della missiva, il giornalista è stato fatto oggetto di minacce di morte e insulti sui giornali, sui social e anche direttamente sulla sua posta elettronica. Tra questi, si segnalano numerosi post a firma di pregiudicati della ‘ndrangheta – totalmente incuranti quindi delle conseguenze che potrebbero avere – in cui gli vengono rivolti epiteti violenti tipo: “non sei buono neanche a scopare”, “brutto frocio di merda”, “ricchiune” e altre frasi che prendono di mira la sfera sessuale. Per la prima volta ne parla con Gay.it.

Allora Klaus non solo minacce di morte ma anche insulti omofobi.

Si, pesantissimi, con nome e cognome di pregiudicati per reati gravi che li hanno postati su vari social. Leggiamo tante cavolate  sulla ‘ndrangheta che vuole mantenere un basso profilo. Beh, con il sottoscritto hanno allegramente interrotto la regola, visto che i post sono bellamente firmati da persone che hanno già condanne per associazione mafiosa. La cosa quindi non riguarda solo me ma tira in ballo anche lo Stato. Se un pregiudicato insulta pubblicamente un giornalista vuol dire che se ne frega delle conseguenze, che vuol dare un segnale.

Amareggiato?

Non per gli insulti in sé ma per il catastrofico messaggio che trasmettono a tutta la collettività. Ovvero: i padroni siamo noi e chi ci attacca può essere denigrato. È valso per il sottoscritto, ma non solo: ci sono decine di altri esempi come quello di Paolo Borrometi, proprio di queste ore, con altri generi di minacce ma poco cambia. No cari, vi siete sbagliati. Parlo per me ma anche per il caso di Borrometi, di Agostino Pantano e tanti altri colleghi e colleghe presi di mira. Non accetto e non sto zitto.

Ferito per essere stato indicato come gay?

Nella maniera più assoluta, no. Per motivi personali non parlo della mia vita privata e rifiuto le etichette, ma che sia vicino al mondo LGBT è risaputo da decenni. E continuerò ad esserlo con ancora più forza.

Perché hanno insistito tanto sulla sua presunta omosessualità?

Su questo – sostituendomi presuntuosamente agli inquirenti – non ho dubbi. E’ un segnale in codice: è frocio, quello che dice non ha valore e possiamo ammazzarlo. Non ci sono altre chiavi di lettura. È un ‘liberi tutti’. Il “ricchiune” per loro è il gradino più basso. Un uomo che ha rinunciato ad essere tale, nella loro scala valoriale (si fa per dire). Un paria.

Solo questo motivo?

No. Ho anche amplificato uno scoop pubblicato da altri colleghi vale a dire Angela Panzera del Garantista e Claudio Cordova del Dispaccio. Trattasi di lettere molto intime che Sebastiano Musarella ha scritto a Giovanni De Stefano, detto il Principe. Attenzione non è detto che implichino una relazione affettiva, ma questa potrebbe essere una delle letture. Alberto Micelotta ha realizzato un servizio per il mio format “Gli Intoccabili”, riuscendo a far passare tutte le possibili letture di queste epistole. Pleonastico ribadire che trattandosi di un De Stefano – ovvero del casato di ‘Ndrangheta più potente a livello internazionale –  la cosa non è stata presa bene. Ne sa qualcosa il vostro Lucio Dattola, che ha partecipato più volte ai miei dibattiti.

Cosa intende fare ora?

Aspetto segnali dallo Stato. Se non ci fossero gli estremi per un’indagine, allora mi muoverò con i miei mezzi che sono quelli della comunicazione. Aspetterò sotto casa chi ha scritto quelle cose e chiederò chiarimenti. Fermo non sto, questo è sicuro. Voglio guardarli in faccia e documentare. Costi quel che costi. Sono determinato e ho già ampiamente dimostrato di non avere paura ad inseguire certe persone e con me la squadra di professionisti de LaC composta da Loredana Colloca, Consolato Minniti ed il già citato Micelotta che mi accompagnano.

Il suo lavoro di comunicatore come prosegue?

Alla grande. Sto preparando un osservatorio sul marketing LGBT che condividerò proprio con voi. E in autunno mi aspettano eventi importanti come il Salone del ciclo e motociclo – di cui è presidente Antonello Montante, un cliente ma anche un amico – e seguo anche tutti i miei figli che sono i brand per cui lavoro da anni da Ornellaia (gruppo Frescobaldi) a Piquadro, da CitypostePayment a MSC Crociere. Sul fronte della legalità Confindustria è sempre stata al mio fianco fin dall’inizio in modo deciso e sono stato co-protagonista di diverse iniziative sul territorio. Marcella Panucci, direttore generale dell’associazione degli industriali,  è venuta alla Camera dei Deputati a patrocinare il mio format. Un segnale fortissimo da parte dell’industria. Ora sono a Venezia. Il lavoro non manca.

Messaggi di solidarietà le sono mancati?

Assolutamente no: ringrazio tutti di cuore. Dal  Roberto Maroni a Emanuele Fiano, da Enza Bruno Bossio del Pd a Matteo Salvini, che si è dimostrato un vero amico anche se poi politicamente spesso ci azzanniamo. Per non parlare di Massimo Giletti, al quale devo tantissimo – e Giovanni Legnini, vice presidente del Consiglio Superiore della Magistratura, un organo costituzionale. No, non mi sento solo. Lo Stato e la politica ci sono. Inutile dire che  ho grandissima stima di Federico Cafiero de Raho e Nicola Gratteri perché sono due Kaempfer, come si dice dalle mie parti, due lottatori. Ringrazio anche Gianvito Lomaglio, vice direttore di Rai Uno e Domenico Maduli editore di LaC, l’emittente che produce il mio format Gli Intoccabili. Un grazie particolare a Peppe Caridi direttore del giornale Stretto Web che mi ha sostenuto a spada tratta.

Una soddisfazione?

L’aver conseguito il premio Livatino Saetta Costa, edizione 2016,  per i servizi dedicati ai sacerdoti coraggio realizzati per il programma Storie Vere di Rai Uno, condotto da Eleonora Daniele. Solo l’idea di vedere accostare il mio nome ai tre servitori martiri dello Stato mi commuove.

Un pensiero?

L’unico pensiero di tutti gli Italiani. Stiamo vicini ai nostri terremotati. Hanno bisogno di noi.

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