A volte penso che il mio amico E. sia esagerato quando mi parla della sua concezione del fidanzamento. La sua mi è sempre sembrata una posizione oltranzista e talebana. Per fare qualche esempio: i suoi fidanzati li tiene alla larga dalle cene allargate dove la lista degli invitati non abbia la stessa ristrettezza dell’accesso consentito alla stanza ovale della Casa Bianca. Non si va per locali; non solo quelli gay, come uno potrebbe ovviamente immaginare essendo un "covo di puttane che ci provano con il tuo ragazzo mentre tu sei piegato ad allacciarti una scarpa", ma anche quelli etero perché: "non si sa mai". Se proprio il suo fidanzato si lamenta del fatto che non escono mai, il mio amico E. gli apre il finestrone e indicandogli il balconcino lo invita a farsi un giro lì, "tanto di spazio ce n’è, puoi farti tutti i giri che vuoi". Inutile dire che vengono oscurati tutti i social network, gli accessi alle chat sono interdetti, gli SMS controllati e le mail di lavoro devono comunque essere prima bonificate con tecniche decrittografiche elaborate dalla Stasi degli anni ’70.
Ma insomma, vi chiederete, dov’è la fiducia nel prossimo, la complicità tra amanti e la forza del sentimento se un rapporto deve avere delle limitazioni così estreme? Sono cose che il mio amico E. si è sentito dire migliaia di volte da schiere di teorici dell’amore, tanto moderni e tolleranti quando si tratta degli altri ma che poi corrono a fare lo stesso non appena si trovano coinvolti anche loro in una relazione.
Gelosia? Non proprio, io direi piuttosto sana e giustificata diffidenza. Forse l’idea che E. ha del fidanzamento meriterebbe una denuncia da parte di Amnesty International per violazione dei diritti umani ma è innegabile che il mio amico non abbia mai provato il dolore lancinante di essere lasciato per causa di un altro, che, in una scala decimale di sofferenza, arriva appena poco dopo lo strazio del parto e delle coliche renali.
Qualche settimana fa ricevo una telefonata da un altro amico che vive fuori dai confini italici e che per questo motivo non vedo spesso. Sapevo però che era impegnato in una relazione estremamente appagante con un ragazzo perfetto sulla carta: bello, intelligente e anche ricco. Mi racconta che si sono lasciati da poco o meglio, precisa il mio amico con sincerità e rammarico, è stato lasciato da poco, per un altro e per di più, a ridosso del Natale.
Mi racconta che un ruba-marito si è insinuato durante una cena e pur sapendo del loro fidanzamento ho attuato una subdola tecnica di seduzione che nel giro di pochi giorni ha fatto capitolare il suo compagno. Non vorrei dare l’impressione di avercela particolarmente con loro, ma ritengo che, se fosse vera la promessa buddista della reincarnazione dove a fronte di una vita condotta con rettitudine corrisponde una transmigrazione dell’anima verso un’esistenza migliore, i ruba-mariti meriterebbero di incarnarsi nel batterio monocellulare che si annida nel guano composto dalle feci dei piccioni.
Il fidanzato del mio amico ha sicuramente tutte quelle responsabilità attribuibili a un fedifrago che sono persino inutili da elencare ma la colpa più grande, è inutile negarlo, ricade sul ruba-marito. Sì, perché qui non si sta parlando di un tradimento fugace e senza conseguenze, ma di un’azione cosciente, di un piano portato avanti con razionalità e consapevolezza, di una volontà decisa di rubare nel recinto altrui ben prima che la passione possa divampare, rendendo inattuabile qualsiasi tentativo di autocensura.
Va bene, l’amore è un sentimento potente e irrazionale, una tempesta emotiva ingestibile e che il cielo ci punisca per la nostra superbia se ci volessimo mettere di traverso con giudizi sommari, ma mi chiedo sempre: prima che questo fuoco si attizzi, tu, frega-marito, sai bene che quello che ti piace è impegnato con un altro quindi per quale motivo devi fare la troia proprio con lui? Bisogno di conferme, insicurezza, pulsioni cleptomani, non lo so e neppure mi interessa, semplicemente non te lo fai piacere tanto più che, diciamocelo, nessuno è mai così speciale da giustificare il peccato biblico dell’abigeato sentimentale.
Certo, uno che cede così facilmente alle lusinghe del primo ruba-mariti che gli sbatte gli occhioni da cerbiatta in calore è evidentemente meglio perderlo che trovarlo, come è pur vero che forse la crisi era già in atto, ma se posso preferisco che la morte del rapporto segua il suo decorso naturale, che ci sia la possibilità di un salvataggio in extremis o la rassegnazione data da una pietosa eutanasia piuttosto che a causarne la fine sia l’intervento di un altro. Del resto anche l’omicidio potrebbe essere inteso semplicemente come la terminazione di una vita naturalmente destinata ad estinguersi, ma questo non mette l’assassino al riparo da una giusta condanna.
di Insy Loan ad alcuni meglio noto come Alessandro Michetti
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