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LESBOMAMME: DICHIARARSI È VINCERE

Due donne omosessuali raccontano al Corriere la loro storia di mamme: “Michele è stato concepito in una clinica belga”. Difficoltà e aperture: medici e vicini disponibili, il Comune no.

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PISA – Grazie Terry, grazie Tina. Le due donne lesbiche di Caravaggio, in provincia di Bergamo, che hanno avuto il coraggio di raccontare la loro storia di mamme al Corriere della Sera, meritano di essere ringraziate per l’importante contributo dato al dibattito sulle famiglie omosessuali e sulla genitorialità di gay e lesbiche. Non è poco, in un paese che si prepara a partecipare a un referendum su una legge che nega espressamente agli omosessuali il diritto a essere genitori.
Terry e Tina hanno fatto ricorso alla fecondazione assistita per concepire Michele, il loro bambino che ora ha quindici mesi. Si sono recate a Bruxelles, raccontano all’inviata del Corriere Daniela Monti: «Decidere di avere un figlio non è stato semplice – racconta Tina – Terry era granitica ma io no, ce n’è voluto per convincermi. Così abbiamo preso una decisione: nessun accanimento, nessuna stimolazione ormonale, ci proviamo tre volte, tre tentativi di inseminazione artificiale, e se il bambino non arriva vuol dire che non è destino. Due amiche, che hanno avuto un bimbo pure loro, ci hanno messo in contatto con la clinica di Bruxelles. Abbiamo avuto un incontro con uno psicologo e poi con una dottoressa, un’italiana emigrata in Belgio perché l’aria che si respira da noi, su questi temi, le sta stretta. Una seduta e, nove mesi dopo, Michele è arrivato». Una buona stella, infatti, ha fatto sì che il concepimento sia andato a buon fine al primo tentativo. E la stessa fortunata stella – perché la legge non le tutela in nulla – ha concesso alle due donne di trovare medici comprensivi: «A tutte le visite a cui Terry ha dovuto sottoporsi in gravidanza ho partecipato anch’io – riferisce ancora Tina – Lei diceva: “Posso fare entrare la mia compagna?”. E nessun medico si è mai opposto. Durante il travaglio, aveva me accanto: “Lei è mio marito“, rispondeva a chi provava a buttarmi fuori. Insomma, qualcosa si può fare, ma è così poco rispetto a quello che vorremmo».
«Cosa vorreste?», chiede la giornalista del Corriere alle due donne: «Io vorrei essere riconosciuta come mamma non biologica di Michele – risponde Tina – Non voglio diritti: voglio che le legge mi dica che ho dei doveri nei confronti di questo bambino». Per ottenere qualcosa, le due donne hanno anche aderito a una associazione, Famiglie Arcobaleno, (www.famigliearcobaleno.org), dove si discute di maternità e paternità, di diritti e di doveri. «Fino a poche settimane fa, Michele era il più piccolo dell’associazione. Ora un’altra coppia di lesbiche ha avuto una bimba. Lentamente, ma cresciamo. Senza andarlo ad urlare in giro, senza imporlo a nessuno».
E in attesa, hanno sfruttato qualche piccolo varco lasciato aperto dalla legge per vedere riconosciuta la loro posizione: «Sulla carta d’identità di Michele, nello spazio riservato al coniuge, Terry ha fatto mettere il mio nome – dice Tina al Corriere – con l’aggiunta: ‘madre adottiva non riconosciuta‘. E così sulla tessera sanitaria, dove io compaio come co-mamma».
Ma a testimoniare che le istituzioni sono ancora restie a lasciare spazio a queste nuove famiglie, giunge oggi la smentita del Comune di Caravaggio: essendo il bambino inferiore a 15 anni, non può essere titolare di carta d’identità, spiega il segretario generale del comune Benedetto Passatello, smentendo quanto «viene erroneamente detto nell’articolo dalle due donne. Il comune ha semplicemente rilasciato un certificato di nascita dove si dice che il piccolo Michele ‘è nato a Treviglio l’1/2/2004’».
Il segretario generale del comune spiega che gli uffici amministrativi hanno allegato «semplicemente una fotografia che viene utilizzata nella domanda poi presentata al commissariato di polizia per consentire l’espatrio del minore, ma nemmeno in questa richiesta si parla di paternità. Nella richiesta, che deve essere presentata in questura o in commissariato, entrambi i genitori chiedono il rilascio del certificato quale esercente la patria potestà sul minore. Siccome negli atti dei registri anagrafici è nato dalla signora Terry, l’esercente la patria potestà sul minore è in capo esclusivo della mamma». Il comune bergamasco assicura infine che «non c’è alcuna ‘maglia’ nella legge». Come spesso accade in questi casi, ogni istituzione ci tiene a precisare di aver fatto in sostanza solo il proprio dovere, senza favorire in alcun modo l’affermarsi di una circostanza che viene ignorata se non ostacolata dalla legge.
Quando cambierà questa situazione? Quando i figli nati in famiglie omoparentali potranno godere degli stessi diritti degli altri bambini? Il percorso legislativo è lungo: passa dall’approvazione del PaCS, dall’abolizione della legge sulla procreazione assistita con il referendum del prossimo 12 e 13 giugno, e poi per altre nuove battaglie che attendono tutta la comunità glbt. E che storie come quella di terry e Tina aiutano a portare avanti.

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