Gli Oscar compiono ottant’anni ma, come si suol dire, non li dimostrano. E il titolo del film vincitore suona un po’ sarcastico, vista l’arzilla età dell’Academy: il crepuscolare ‘Non è un paese per vecchi’ dei fratelli Coen si aggiudica quattro statuette, cioè miglior film, regia, sceneggiatura non originale e attore non protagonista, un mefistofelico Javier Bardem mai così bravo.
L’attore spagnolo ha ringraziato i registi “per essere stati così pazzi da pensare che io avrei potuto fare quello che ho poi fatto mettendomi nello stesso tempo addosso una delle pettinature più orribili della storia del cinema”.
Girato splendidamente, violento ma con anima, tarantiniano ma anche introspettivo, tratto da un celebrato romanzo di Cormac McCarthy senza tradirne le peculiarità letterarie, ‘Non è un paese per vecchi’ è un adrenalinico film d’azione ambientato nel 1980 sulla contesa tra un veterano del Vietnam e uno spietato killer (Bardem, appunto) di una borsa contenente due milioni di dollari
abbandonata in mezzo al deserto dopo una sanguinosa resa dei conti fra trafficanti di droga. I Coen travolgono così ‘Il petroliere’ di Paul Thomas Anderson, grande sconfitto della serata, che si deve accontentare dell’Oscar al miglior attore – Daniel Day-Lewis, come da copione – e alla migliore fotografia. Per la prima volta nella storia dell’Academy, gli attori premiati sono tutti europei: le attrici prescelte sono la francese Marion Cotillard per la sua ineccepibile trasformazione in Edith Piaf nell’appassionato ‘Ma vie en rose’ e la musa di Derek Jarman, la scozzese Tilda Swinton, che vede premiata come non protagonista la sua algida e calcolatrice imprenditrice senza scrupoli del peraltro sopravvalutato ‘Michael Clayton’ (ma lei, alla sua prima nomination, è perfetta). Nel discorso di ringraziamento ha preso in giro il suo collega George Clooney per la sua “tuta di gomma con i capezzoli in Batman & Robin”.
L’unico premio espressamente queer è stato l’Oscar per il miglior documentario corto, andato a ‘Freeheld’ di Cynthia Wade, su un tenente donna morente di cancro ai polmoni che si batte affinché la sua compagna possa avere la reversibilità della pensione.
L’Italia ha fatto la sua bella figura portandosi a casa due statuette, per la scenografia dell’ottimo musical ‘Sweeney Todd’ di Tim Burton – il più gotico e gore della sua carriera – a Francesca Lo Schiavo e Dante Ferretti, il loro secondo dopo ‘The Aviator’, e al pisano Dario Marianelli per la colonna sonora originale di ‘Espiazione’.
L’indipendente ‘Juno’ su una teenager incinta (e varie star presenti alla cerimonia sono in dolce attesa, da Cate Blanchett a Nicole Kidman), l’outsider della serata, già vincitore alla Festa del Cinema di Roma, si è visto aggiudicare il riconoscimento come migliore sceneggiatura originale alla tatuatissima e saffo-oriented ex spogliarellista Diablo Cody.
Tra i film d’animazione ha prevalso ‘Ratatouille’ (ed è un peccato che il notevole ‘Persepolis’ di Marjane Satrapi e Vincent Paronnaud sia rimasto a bocca asciutta) mentre tre premi tecnici – montaggio, montaggio e missaggio sonoro – sono andati al fracassone ‘The Bourne Ultimatum’.
L’Austria per la prima volta conquista un Oscar come miglior film straniero grazie all’eccellente ‘Il falsario’ di Stefan Ruzowitzky.
Tra gli abiti più apprezzati, il premaman blu cobalto di una radiosa Cate Blanchett e il setoso rosso ciliegia con maniche di pizzo indossato da una regale Helen Mirren. La battuta più bella? L’ha pronunciata il presentatore Jon Stewart nel descrivere la trama di ‘Lontano da lei’: “Si tratta della storia di una donna che dimentica il marito: una pellicola che ha entusiasmato Hillary Clinton”.
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