L’undici agosto 2006 una spiacevole notizia aveva fatto il giro del mondo: la casa editrice Marvel (quella di Spider-Man, X-Men, ecc) aveva dichiarato che nessun personaggio GLBT sarebbe mai stato protagonista di una propria serie, e che se personaggi GLBT fossero comparsi in un suo fumetto sarebbe stata apposta la dicitura “per adulti” in copertina.
In realtà tutto è partito da un episodio abbastanza increscioso: il padre fondatore della Marvel, Stan Lee, aveva partecipato tempo fa ad un talk-show americano molto seguito subendo in quell’occasione gli attacchi della presidentessa dell’associazione americana per la tutela dei valori tradizionali. In quell’occasione Stan Lee e la sua casa editrice erano stati accusati pubblicamente di corrompere i giovani lettori con esempi poco edificanti e sessualmente fuorvianti, riferendosi in particolare al caso di Rawhide Kid, che qualche anno fa divenne famoso per essere il primo cowboy gay dichiarato del fumetto americano. Stan Lee da parte sua non aveva subito a testa bassa i rimproveri della sua interlocutrice: dall’alto dei suoi 83 anni non ha mai tollerato alcun tipo di discriminazione (fra le altre cose è anche ebreo e i suoi sono stati fra i primi fumetti ad avere personaggi di colore), e ha puntualizzato che anche quando sceneggiava le sue storie non ha mai avuto problemi a inserire personaggi che oggi potrebbero essere definiti “gay”. Evidentemente questo episodio aveva messo in guardia gli attuali vertici della Marvel rianimando la discussione a proposito della politica editoriale da tenere nei confronti dei temi GLBT, e spingendo l’attuale direttore editoriale Joe Quesada a rilasciare la dichiarazione di cui sopra.
Questa notizia non è stata accolta troppo bene dai lettori, le cui numerose lamentele hanno spinto la Marvel a correggere il tiro e a rivedere la propria posizione: a fine agosto 2006 un nuovo comunicato stampa dichiarava che la politica dell’editore nei confronti dei personaggi GLBT sarebbe stata quella di… non avere nessuna politica! Nel senso che l’orientamento sessuale dei suoi personaggi non avrebbe più inciso sul loro collocamento nella fascia “per adulti” piuttosto che nella fascia “per tutti”.
Cosa ha fatto cambiare idea così in fretta alla Marvel? In primo luogo il fatto che i suoi fumetti, che da sempre hanno presentato eroi problematici e “diversi”, sono ormai considerati da tutti una metafora della condizione GLBT (soprattutto da quando hanno iniziato a ispirare pellicole di successo), e ghettizzare le tematiche omosessuali avrebbe significato compromettere la sua immagine gay-friendly (scelta di marketing quantomai dannosa, soprattutto considerando i numerosi film in produzione).
In secondo luogo i personaggi più o meno dichiarati nell’universo Marvel sono ormai numerosi, e molti di loro sono stati lanciati di recente con un buon riscontro di pubblico e critica (e soprattutto con una grande pubblicità gratuita presso la comunità GLBT): arrivati a questo punto le pressioni delle associazioni conservatrici, per quanto forti, non potevano giustificare una simile marcia indietro. A questi pur validi motivi, inoltre, va aggiunto il fatto che da qualche anno il mondo dei supereroi e la comunità gay hanno reso esplicito il legame che -da sempre- li lega nell’immaginario comune.
L’ultima tendenza delle comunità gay americane, infatti, sembra essere quella di appropriarsi dei simboli del mondo dei supereroi, creando una specie di nuovo feticismo per i costumi in lycra, che si manifesta negli incontri intimi come in esclusivi party a tema nei locali più “in” delle due coste.
Il fenomeno, che è in continua crescita (grazie anche al successo delle ultime versioni cinematografiche di Spider-Man, Superman, ecc), non ha ancora un equivalente di tale portata in Italia
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Il fenomeno, che è in continua crescita (grazie anche al successo delle ultime versioni cinematografiche di Spider-Man, Superman, ecc), non ha ancora un equivalente di tale portata in Italia o nel resto del mondo. È vero che esistono appassionati di costume-player (in gergo cosplay) che anche nelle fiere del fumetto italiane esibiscono costumi identici a quelli dei loro beniamini, ma è una situazione circoscritta all’ambiente fumettistico e soprattutto al mondo dei manga giapponesi. Nel caso dei cosplay è l’impersonatore che si immedesima nel personaggio, mentre nel caso dei lycra-lovers si tratta di persone che assorbono le caratteristiche dei supereroi e le fanno proprie, trasformandole in un nuovo modo di esibire la loro personalità e persino la loro carica erotica. Inoltre i lycra-lovers sono un fenomeno che tocca prettamente la comunità gay, ma non quella lesbica e men che meno quella etero.
A ben guardare è stato proprio l’avvento della lycra nel 1959 (anche se il nome corretto sarebbe spandex) che ha definitivamente avvicinato il mondo dei supereroi all’immaginario omoerotico: prima di allora i costumi dei supereroi non erano disegnati aderenti al corpo, non mettevano in risalto i muscoli e non fornivano un sofisticato “alibi” per vedere corpi atletici praticamente nudi. Dopo quella data la lycra è diventato “il” tessuto dei supereroi e il più amato dai loro fans gay, perlomeno fino all’arrivo dei recenti film che hanno sfoggiato fibre iperteconologiche, che per ora rimangono al di là della portata delle tasche della maggior parte dei lycra-lovers (e forse non è un caso se durante la lavorazione dei film di supereroi viene sempre rubata una quantità impressionante di costumi di scena).
Oggi ci sono negozi specializzati, siti a tema (erotici e non) e persino ditte che preparano costosissimi costumi su misura (con tanto di muscoli fittizi, protesi “strategiche” e quant’altro). Ovviamente non mancano i club di appassionati, i locali specializzati (con tanto di go-go boys a tema), i sex-club e tutta una serie di iniziative che ruotano attorno a questa nuova fetta di mercato, sempre più difficile da ignorare. Probabilmente non è un caso se quest’anno è partito persino un nuovo
reality-show americano, who wants to be a superhero? ovvero chi vuole essere un supereroe?, tutto dedicato a degli “aspiranti supereroi” (probabilmente sarà una dei pochi reality che non verrà mai esportato in Italia), e sicuramente non è un caso se fra i concorrenti c’è stato anche un aspirante supereroe gay dichiarato (con tanto di marito!), autoproclamatosi paladino delle minoranze (soprattutto di quelle sessuali).
Il concorrente, che per la cronaca aveva scelto di farsi chiamare Levity, non ha vinto il reality, ma di certo ha dimostrato che ormai non ha più senso negare spazio ai supereroi gay. E se qualcuno si chiedesse quale autore televisivo sia stato così matto da permettere l’ingresso di un aspirante supereroe gay nel reality-show… gli basti sapere che a supervisionare il progetto (e a presentare il reality) c’era proprio Stan Lee! Chi altri se no?
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di Valeriano Elfodiluce
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