La storia di Mohamed ci racconta cosa significhi essere gay in Libia

Picchiato in famiglia e a scuola, minacciato, violentato. La vita di Mohamed è stata un inferno. Solo perché gay.

libia
4 min. di lettura

Mohamed è un ragazzo di 24 anni che è nato e cresciuto in Libia. Fin da piccolo, è sempre stato attratto dai maschi, e per questo è stato bullizato a scuola, picchiato selvaggiamente dal padre, minacciato di morte. Ha iniziato a prostituirsi, a drogarsi, ha tentato il suicidio.

Ha raccontato la sua storia a Speciale Libia, un sito web che si occupa di raccontare al mondo quando succede nel Paese. L’articolo di Mohamed è stato rimosso dalla loro pagina, poiché il ragazzo è tornato in Libia per finire gli studi, in modo da garantire la sua incolumità.

Il racconto di Mohamed, ragazzo gay in Libia

Il mio nome è Mohamed, ho 24 anni, e sono originario della Libia. Ho iniziato la mia vita come un bambino normale che era amato da sua madre, mio padre era un rigoroso militare. Come ho iniziato a crescere ho notato che ero più interessato a stare con le ragazze e i loro giochi piuttosto che passare il mio tempo con i ragazzi.

Mio padre mi picchiava ogni volta che sentiva che mi comportavo da femmina, o ero interessato a qualsiasi cosa che “dovevano interessare” le ragazze.

La mia infanzia è stata dura, ma sono riuscito a sopravvivere. Ma quella violenza non era solo a casa, venivo picchiato e in generale bullizzato anche a scuola, solo perché avevano capito che “ero diverso”.

Oltre alle violenze di mio padre e da parte dei bulli, doveva subire anche mio cugino, che mi ha molestato più volte quando avevo 12 anni. All’età di 15 anni ho percepito che c’era qualcosa di diverso nella mia sessualità, voglio dire che non erano solo i giochi “più femminili” ad attirarmi, era qualcosa di più profondo. Mi sono spaventato, perché provenivo da una famiglia religiosa, e islamica.

Non sapevo cosa fare, pensavo di essere maledetto o un malato di mente, per le idee che mi aveva inculcato la famiglia.

Avevo un amico, 4 anni in più di me. Non avevo altra scelta se non chiedere il suo aiuto, ed è quello che ho fatto. Gli dissi che pensavo di essere gay. Lui mi ha chiesto di raccontargli le mie esperienze, quando ero un bambino. Dopo avergli detto tutto, lui ha iniziato a minacciarmi. Dovevo fare sesso con lui, altrimenti avrebbe detto tutti ai miei genitori. Lo sapeva lui e lo sapevo io: mi avrebbero ucciso. Ogni volta che mi opponevo a quello che mi ordinava di fare, mi picchiava e minacciava di rivelare a tutti la mia omosessualità. Dovevo andare a letto con lui. Era il mio vicino di casa, non potevo nemmeno scappare.

Ho vissuto in costante paura per un anno, dormivo in bagno perché era l’unico posto in cui mi sentivo al sicuro, ero tecnicamente il suo schiavo sessuale in quel momento.

Per Mohamed cambia tutto

Poi, un giorno è cambiato tutto. Ha bussato alla nostra porta chiedendo di me, ma non sono uscito. Lui si è infuriato e ha detto a mio padre che ero gay, e che avevo fatto sesso con mio cugino. Mio padre mi ha chiuso in una stanza, ha iniziato a picchiarmi, a insultarmi, mi ha detto che mi avrebbe tenuto in vita solo per farmi soffrire il più possibile.

Di fronte a questo, ero caduto in depressione. Prendevo farmaci anti-depressivi, ho visto un terapeuta per due anni, e ho tentato più volte di suicidarmi. Trascorso questo paio d’anni, ero riuscito a convincere la famiglia che stavo meglio, che non provavo attrazione per i maschi. Ovviamente, stavo mentendo.

In tutto questo tempo, stavo cercando di accettarmi. Era il 2011 quando mi sono convinto di essere gay. E anche in quell’anno ho iniziato a uscire, a incontrare altri uomini. Ma in Libia non è facile, dovevo fare tutto di nascosto, e molte volte le persone che incontravo mi mettevano nei guai, altre mi hanno costretto a fare cose che non avrei mai immaginato di poter fare.

Ero così incasinato che sono diventato un tossicodipendente. E’ successo quasi per caso, conoscendo uno spacciatore, che mi riforniva in cambio di rapporti sessuali. Così ho anche iniziato a fare sesso in cambio di droga o soldi, e molte volte mi costringevano a fare cose orribili, anche a essere stuprato. Ero arrivato a pensare che questa fosse la normalità.

Nel 2014 sono riuscito a fuggire, sono andato a Malta e stavo pensando di andare in Svezia a cercare asilo, ma mio padre lo ha scoperto, e ha mandato qualcuno a prendermi.

Quindi sono tornato in Libia, e ho deciso di riprovarci. Mi sono ripulito, ho chiuso i rapporti con lo spacciatore, che però non ha accettato la fine della nostra storia. Ha creato nuovi problemi con la mia famiglia, mio padre ha ripreso a picchiarmi, e anche lui a volte. Mi ha rotto i finestrini dell’auto, mi ha bucato le ruote, mi minacciava di continuo. Per 5 mesi sono stato chiuso in camera. Avevo paura di uscire.

Nel 2016 mi sono ripreso, sono diventato ateo e ho iniziato a vedere la mia vita da una visione diversa. Nonostante il mio orientamento sessuale, volevo che la mia famiglia non mi vedesse come una persona anormale, e ho iniziato a utilizzare i social, dove esprimevo le mie opinioni. E’ stato peggio: ora tutti sapevano che ero gay e ateo. Sono riprese le minacce e gli scontri, che mi hanno portato a rintanarmi nuovamente in casa.

L’odio nei miei confronti, nonostante il tempo trascorso rinchiuso in casa, era ancora vivo. Venivo bullizzato, preso in giro, e la mia famiglia ha iniziato a dirmi che ero una vergogna, che avevo gettato disonore su tutti i miei parenti. Così ho provato a fuggire, lasciando anche gli studi, all’ultimo semestre.

La speranza di una nuova vita

L’associazione Mama Sara Organization mi ha contattato, e mi ha comprato un biglietto aereo per Tunisi. L’8 dicembre sono partito. Mi è parso strano che qualcuno mi aiutasse, perché non mi era mai successo. Ma in Turchia, l’organizzazione ha iniziato a trattare male me e gli altri 9 ragazzi che stava “aiutando”. Mi sono ritrovato senza soldi, senza un appoggio, in un Paese straniero di cui non conoscevo la lingua e senza documenti e un titolo di studio.

Per sopravvivere ho ripreso a prostituirmi, non avrei mai pensato di dirlo, ma mi mancava l’inferno da cui ero scappato. Almeno la mia famiglia e i libici non hanno mai detto che mi avrebbero aiutato, per poi scomparire.

Il ritorno in Libia

Mohamed ha avuto coraggio. Ha deciso di lasciare la Tunisia per tornare in Libia e completare gli studi. Ora si trova nel suo Paese, nonostante l’intervento delle Nazioni Unite, attraverso il quale era riuscito a ottenere lo status di rifugiato.

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