Il suo nome è Oscar, ed è mio figlio. (Generale de Jarjayes, Episodio 1, La grande scelta)
Il 14 luglio del 1789, Presa della Bastiglia, Lady Oscar moriva, tra tisi e tumulti. André, suo amato, cadeva il giorno prima, a causa di una pallottola, nel pieno di una dichiarazione d’amore attesa una vita intera.
43 anni fa finiva l’anime tratto dal celebre manga di Riyoko Ikeda, nato nel 1972, con una 41esima dolorosa e romanticissima ultima puntata, che vedeva i due innamorati morire a cavallo di un ideale di libertà assoluta, contro la tirannica monarchia, ma anche contro i confini del binarismo di genere.
Oscar François de Jarjayes è l’ultimogenita di una nobile famiglia da sempre leale alla Corona di Francia. Cresciuta dal padre come un soldato, diventa la fedele spalla destra di Maria Antonietta d’Austria. Comandante della Guardia Reale, Oscar vive una vita in abiti maschili, indossando quelli femminili in un’unica occasione, nel corso di un ballo di corte. Passasse oggi in tv come prima assoluta, Lady Oscar scatenerebbe quasi certamente la furia dei catto-estremisti italioti, pronti a brandire i forconi contro ‘l’indottrinamento gender’ dei loro figli, contro quell’identità di genere di fatto al centro della trama, in definitiva contro la fossilizzata idea del binarismo di genere, tanto cara al patriarcato per il quale il maschio è maschio e la femmina è femmina. Oscar – certo suo malgrado – portò in scena con coraggio e con grande senso dell’anticipazione quell’idea che il maschile e il femminile siano soltanto costrutti sociali, contro cui una donna – così come un uomo – può e deve combattere un’intera vita.
Intendiamoci. “Il buon padre voleva un maschietto, ma ahimè sei nata tu” dicevano le parole dell’indimenticabile sigla. Perché Oscar era una donna, innamorata di un uomo, ma costretta a fingersi suo malgrado un maschio, pur di accontentare i costrutti sociali stereotipizzati.
Quella protagonista dai tratti androgini, abile spadaccina, cresciuta come un uomo e quasi unicamente con abiti maschili, diventerebbe oggi terreno di scontro mediatico e perché no, persino politico. In un’Italia in cui un drag show è stato posticipato per 8 mesi perché sgradito alla nuova maggioranza di governo, Lady Oscar finirebbe per dividere il Paese, con interpellanze parlamentari e proteste di piazza, bambole bruciate all’ingresso di Montecitorio e album di figurine esorcizzati dai vescovi della CEI.
Nei primi anni ’80, quando arrivò finalmente anche nel Bel Paese, l’anime si limitò invece a fare incetta di ascolti, diventando da subito di culto per un’intera generazione. La sigla dei I Cavalieri del Re, con solista Clara Serina, è ancora oggi giustamente venerata, e quanti ragazzi ogni 14 luglio celebrano lei, Lady Oscar, fregandosene abbondantemente della Presa della Bastiglia?
43 anni dopo una parte d’Italia parrebbe essere tornata indietro di secoli, trincerandosi dietro i grembiulini dei propri pargoli per nascondere un bigottismo, una sordità e un’ignoranza di fondo che polemica dopo polemica, menzogna dopo menzogna, raschiano sempre più il fondo del ridicolo.
Infatti è strano che Pirlòn e Adinolfi non abbiano ancora latrato contro l'anime, visto che ricorre l'anniversario. Forse hanno capito che provocherebbero una reazione uguale e contraria di qualche milioncino di bambini, ora adulti, che lo guardarono 30 anni fa (e non sono diventati odiosi come loro).
E' davvero triste pensare che oggi non avremmo Lady Oscar in TV a causa delle menzogne su gender di qua, lobby gay di là.