Family Day: la piazza dell’omofobia e la chiamata all’azione

Dal "destino di morte" alle "bombe sulla famiglia": le parole d'ordine che mettono paura.

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La pioggia alla fine s’è fermata e il Family Day c’è stato. A piazza San Giovanni si sono ritrovate persone giunte da tutta Italia per dire una sola cosa: “Stop al gender nelle scuole”. Uno slogan che nelle declinazioni enunciate dai relatori sul palco è diventato anche no al ddl Cirinnà, naturalmente. Perché nella visione di quella piazza fa tutto parte di un grande complotto che punterebbe a instaurare “la dittatura del pensiero unico”. Già qui, una persona con un briciolo di lucidità capirebbe che stiamo parlando di aria fritta. Ma andiamo con ordine.
Inevitabile la rincorsa dei numeri. Secondo gli organizzatori, più di un milione. Del resto, è quella la cifra che avevano anticipato: dichiarare una partecipazione inferiore avrebbe significato ammettere di non avere raggiunto l’obiettivo. Piazza San Giovanni contiene circa 300 mila persone, era piena e c’erano persone anche nelle zone limitrofe. Ma il gioco dei numeri rischia di diventare controproducente, perché potremmo dire che solo questo mese la comunità lgbt ha portato in piazza circa 515 mila persone, nelle manifestazioni non nazionali di tra Roma, Verona, Pavia e Benevento, e devono ancora tenersi i cortei di undici città. Potremmo anche dire che questo Family Day arriva dopo otto anni dal primo (quello del 2007), mentre i Pride si fanno ogni anno, con le proporzioni che ne conseguono. E il fatto che su alcune pagine Facebook di riferimento di quella piazza circoli la foto aerea fatta nel 2007, la dice lunga (ancora non avete capito che le foto false si scoprono in pochi minuti, su internet?). Ma, come detto, non è questo il punto. Il punto sono e rimangono i contenuti.

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Dal palco di San Giovanni, oggi, abbiamo sentito quello che si sente da anni ormai sulla fantomatica “teoria del gender” : niente di nuovo, in questo senso, le solite farneticazioni senza fondamento. E niente di nuovo neanche negli attacchi, feroci, fatti al DDL Cirinnà dipinto come una legge in grado di dare il via a una sorta di apocalisse.
Quello di cui ha senso parlare, rispetto alla manifestazione, sono i toni, il linguaggio, le parole scelte dai relatori (che non elencheremo) per arringare la folla.
Abbiamo sentito parlare di “bombe lanciate sulla famiglia”, di scuole trasformate in “campi di indottrinamento”, di bambini usati per fare esperimenti al pari di quello che accadeva nei campi nazisti, di “destino di morte” (perché la natalità cala e legittimare le coppie gay, non si sa bene come, avallerebbe questo trend), di “violazione del corpo delle donne per mercimonio”, di bambini “strappati con violenza” a chi l’ha partorito per darlo ai padri gay (chissà perché non si citano mai le mamme lesbiche, in questi casi), bambini che per questo strappo piangono di dolore (i bambini appena nati piangono tutti: serve ad attivare il sistema respiratorio, ma tant’è). Abbiamo sentito dire che non sono loro che discriminano “è la natura che discrimina”, che come ha fatto notare qualcuno, è un po’ come dire “non sono io ad essere razzista, sei tu che sei negro”. Abbiamo sentito inviti a combattere e resistere, a non arrendersi. Mai. Tutto condito dal concetto di famiglia che ci viene da Dio, dalla catechesi e perfino da draghi rossi con sette teste e satana.

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Parole che dipingono un quadro di terrore puro, di vera e propria guerra, di violenza. Quello che porteranno a casa le persone che erano in quella piazza è l’idea di essere davvero in guerra contro un nemico orrendo, che vuole distruggere le loro vite, le loro famiglie, il futuro dei loro bambini. Un’atmosfera in cui è difficile stupirsi, poi, quando certi interpreti di questo pensiero, aggrediscono gay, lesbiche e trans quando li incontrano per strada. Perché nonostante quel “noi non siamo contro gli omosessuali” ripetuto dal palco, quella è stata una manifestazione contro le persone lgbt e i loro diritti di cittadinanza in uno stato laico.
E non è un caso che a San Giovanni abbia parlato anche l’Imam della moschea di Centocelle e si sia letto il messaggio di solidarietà del rabbino capo di Roma, sotto lo sguardo di una gigantesca Salus populi romani, l’icona bizantina della Madonna con Bambino. Quello che tiene unite queste diverse anime è proprio il rifiuto della laicità, l’idea che i valori confessionali debbano guidare la mano del legislatore e regolare il vivere civile di una società dell’occidente democratico. Una visione più vicina ad un regime teocratico, che a una democrazia che affonda le sue radici nell’antica Grecia. Ci corre l’obbligo di ricordare che l’Italia non è uno stato confessionale, che nessuno vuole imporre l’ateismo a nessuno né vietare la libera professione della fede che ognuno sceglie per sé, ma che la laicità a cui si fa appello è quella che garantisce a chi crede di vivere secondo i dettami della propria religione e a chi non crede di vivere secondo i propri valori. Tutti nel rispetto della legge e nella garanzia della parità di diritti.

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Un clima di guerra che, però, non ha alcun riscontro nella realtà. Perché “dall’altra parte” ci sono persone che non lottano contro, ma per. Per avere riconosciuti i propri diritti di cittadini, di genitori e di famiglie. Di famiglie che esistono già e contribuiscono alla società esattamente come quelle già riconosciute, di genitori che vogliono che i propri figli siano tutelati e che vadano in scuole in cui non si insegna che non esistono diversità (come vorrebbero far pensare gli agitatori del gender), ma che le diversità ci sono e vanno rispettate. Tutte. Ci sono persone che scendono in piazza per l’uguaglianza, non per la discriminazione. E su questo, basta riportare la dichiarazione rilasciata da Monica Cirinnà: “Io ho fatto un lavoro di inclusione di tutte le famiglie, di tutti gli amori e di tutti gli affetti. Noi, io tutti parliamo della libertà dell’amore e di diritti per tutti. Credo che il Family Day si sia trattato di un piazza di privilegiati eterosessuali che affermano di volersi tenere i loro privilegi”.
È questa la differenza: c’è chi si impegna per una società migliore, inclusiva, egualitaria e chi, invece, scende in guerra contro nemici inventati e contro la felicità degli altri. La storia va nella direzione dei primi. Poi ognuno sceglie da che parte stare.

Ps: Non possiamo evitare la chicca. Tra i supporter del Family Day contiamo oggi anche Lorella Cuccarini che ha retwittato un’immagine pubblicata dall’account ufficiale della Manif Pour Tous inneggiante alla piazza. Che Cuccarini dovrebbe essere derubricata ad ex icona gay, non è una novità. Ma nel caso qualcuno avesse ancora dei dubbi…

(foto: Simone Alliva )

di Caterina Coppola

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