Qual è l’esperienza più estrema che avete fatto?
Fate bene attenzione, perché rischiate di rispondere nel modo sbagliato o, meglio, di giudicare solo seguendo certi criteri. Nell’arco della vita sessuale di un individuo ci sono tante, troppe occasioni che vanno ben oltre la consuetudine. Negarle o considerarle con un eccesso di (falso) moralismo impedisce di apprezzarle appieno, specie se non ci sono state raccontate ma le abbiamo vissute in prima persona.
Quando si accede a un profilo di una chat o di un sito gay, si sbirciano con la coda dell’occhio non tanto le sciocchezze sull’attore o sul piatto preferito (ma chi se ne frega?) ma cose più spicce come le dimensioni, i peli, i ruoli, ma anche l’attitudine ad andare oltre il classico schema. Lo stesso Mario Mieli, teorico sublime della condizione omosessuale, concettoso e sopraffino, nel privato aveva però passioni decisamente “forti”.
Non voglio però profondermi in un elenco delle esperienze più eccitanti e/o disgustose (l’ho già fatto con gli odori e ancora me ne vergogno) ma fare uno sforzo di concentrazione e ricordare. Ricordare la prima volta che ho fatto quella determinata cosa e quando mi ha dato la nausea o, al contrario, quando mi sono sbloccato, liberando in me il gusto di fare liberamente qualcosa che mi piace.
E poi passare mentalmente in rassegna tutte le piccole, medie e grandi “trasgressioni” della mia vita. Per giungere, a mente fredda, alla conclusione che forse l’esperienza più estrema è quella che ho fatto poche settimane fa, in casa di un uomo con una sling in salotto, i divani e il pavimento ricoperti di teli di plastica trasparenti, una scorta di preservativi e lubrificanti, l’aggiunta continua di un pizzico di eccesso all’eccesso. Ovviamente senza che lui o nessuno possa temere di essere riconosciuto, perché la discrezione serve anche nel raccontare queste cose: si dice il peccato, e basta.
Certamente in passato altre avventure mi avevano agitato, incuriosito, eccitato o disgustato di più ma ciò non toglie che, ora che mi sono quasi assuefatto allo straordinario nel sesso, mi capita ancora di vivere esperienze che, magari turbandomi meno, sono senz’altro più forti di quelle passate. Come concorderanno spero i lettori, per alcuni dei quali sembrerà argomento disgustoso, mentre per altri potrebbe trattarsi di immagine del desiderio o perfino di ordinaria amministrazione.
Parlo della penetrazione assistita, ossia del fist fucking, volgarmente detto “pugno in culo”.
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Parlo della penetrazione assistita, ossia del fist fucking, volgarmente detto “pugno in culo”. Un modo di entrare dentro il partner che non conosce eguali: lubrificazione, ingresso, spiegamento e ripiegamento delle dita, volteggio, esplorazione, ricerca di andare sempre oltre, sempre più in fondo.
Una cosa da professionisti che necessita di una preparazione meticolosa, sia in termine di igiene intima che di materiali. La posizione, l’atto, il contesto e poi sempre la ricerca di quel qualcosa in più, che non è solo un cazzo o una mano ma possono essere anche due cazzi o un piede. E anche tutte queste cose nell’ordine. Prima o poi il piacere, che deve essere immenso, cederà il posto al dolore e ci si dovrà fermare per non passare la settimana successiva bloccati in un letto. Eppure, mentre lo si fa, si procede quasi non ci si dovesse fermare mai, un po’ come quella pazza di Alessandro Magno.
A parte tutto, il pensiero più inquietante che mi ha attraversato la mente è stato che questa cosa estrema, che a me era capitata di rado e mai come quella notte, l’ho vissuta sempre e solo da attivo. Ci sono dei limiti che non vogliamo valicare, dei tabù troppo forti per noi. Ma poi c’è anche la curiosità. Perché leggiamo nel volto dell’altro, tra l’alienazione e una smorfia di dolore, quel senso di appagamento totale che perfino le più abili porno attrici si sognano. Quel senso di essere posseduti o sfondati, ma che io chiamerei soltanto “dischiusi”, che si insegue negli occhi dei partner più arditi, maschi o femmine che siano.
Qualcosa di quello sguardo c’è in loro e c’è forse ancor più nei “prevalentemente o esclusivamente attivi” quando si decidono a provare e si fanno scopare. C’è ma non fa notizia. Perché la smorfia provocata dal fist e da tutto quello che gli gira intorno è qualcosa di più, qualcosa che molti (io per primo) temono di provare e che quindi potrebbe restare per sempre un sogno nel cassetto, in quanto trasgressione pericolosa, possibile via senza ritorno, che però non ci lascia davvero indifferenti. Almeno non ha lasciato indifferente me, per quanto adesso tenti di sublimarla scrivendone, invece di sperimentarla.
Flavio Mazzini, trentenne, giornalista, ha deciso di prostituirsi con uomini per raccontare le proprie esperienze nel libro Quanti padri di famiglia (Castelvecchi, 2005). Dal 1° gennaio 2006 tiene su Gay.it la rubrica Sesso.
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di Flavio Mazzini
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