Immaginate un mondo in cui sia l’omosessualità ad essere normale, in cui gli uomini siano tutti – o quasi tutti – femminili e le donne tutte – o quasi tutte – dei macho man sempre in allenamento con i guanti da pugilato, in cui i figli nascano nelle "normali" famiglie gay grazie a donatrici che "aiutano il bambino a fare questo viaggio di 9 mesi verso il mondo". Ed immaginate che in questo mondo gli "etero di merda", i cossiddetti "sedani", siano gli anormali, i disperati, dalla vita sessuale promiscua e clandestina, costretti a ghettizzarsi in locali bordello "perchè intanto sempre a quello voi pensate".
Due famiglie sono le protagoniste di questa commedia. Una famiglia di sole donne con Giuseppe, il loro figlio: Katia, impegnata politicamente ed aperta al nuovo, etero-friendly, e Sonia, un pò scoppiata e alternativa, ma anche meno razionale della compagna. L’altra è ovviamente una famiglia di soli uomini, con il dolce ed effemminato Niki, il marito poliziotto, Graziano e la loro figlia Maria. Tutto filerebbe per il verso giusto, se non fosse colpa del bagno: Giuseppe ci sta troppo poco per essere un uomo "normale", anzi, ha da poco lasciato il suo ultimo boy e le mamme sono molto preoccupate; Maria nel bagno invece ci soggiorna per ore e ore, ed è davvero troppo femminile per essere "normale". Ed insomma, i due ragazzi si incontrano, si innamorano e vanno insieme all’Etero Pride. E’ il patatrac, con un finale incalzante e a tratti esilerante, che riuscirebbe a far riflettere anche il più ostile omofobo, almeno crediamo.
Da Pistoia al Teatro Manzoni parte una carovana molto bene assortita grazie ad un testo di Donatella Diamanti geniale e divertente, "politically correct" all’inverosimile e delizioso.
E’ un pò pedagogico questo "Indovina da chi andiamo a cena?", senza per questo essere pesante e lento. Tutt’altro. Katia Beni e Sonia Grassi sono brave e confermano una loro comicità esilerante; Katia, in particolare, sembra in gran forma, con una gestualità e le sue espressioni del viso che dicono molto, anche senza che parli. Nelle meno improbabili vesti dei due mariti, Niki Giustini ed il più noto Graziano Salvadori, ambedue capaci, ma Graziano più convincente nell’usare il proprio corpo per essere convincente come maschio gay, a tratti effemminato, a tratti in forte recupero di una mascolinità dovuta sembra solo alla professione. Nei ruoli dei due ragazzi Maria Di Fazio, meno convincente
soprattutto quando esagera nella sua femminilità, ed un bravo (quanto bello, in foto) Francesco Lucente.
La commedia è ben costruita e fila bene, ma è soprattutto il non troppo mascherato approccio "militante", politically correct e pedagogico che salta agli occhi di chiunque. Ad iniziare da quel gioco sui ruoli maschile e femminile, con il pubblico che "ovviamente" sorride quando la coppia gay, ad inizio commedia, si sbaciucchia e "schecca" un pochinio; ma che non può, almeno crediamo, fare a meno di sentire lo stridore di quanto è macchietta anche la coppia etero, con il lui maschio autoritario e forte e la lei femmina obbediente e servizievole. Partire dai ruoli e giocarci per distruggerli con il consenso del pubblico: ecco il merito del testo che per questa sua forza è auspicabile giri per tutta Italia o, meglio ancora, "per tutte le scuole del Regno".
Il finale, che lascia gli spettatori un pò attoniti e che ghiaccia per la sua crudezza, ricorda i paesi in cui l’omosessualità è punita con la pena di morte. Vale a dire: ok, stiamo scherzando, ma ricordiamoci che la realtà non è così lontana.
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