Ready: creatività, orientamento sessuale, identità di genere

A Firenze due giorni per confrontarsi su come rimuovere gli ostacoli che limitano la libertà di espressione delle persone LGBT. A partire dai dati di due inchieste della Regione Toscana.

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Sviluppare la classe creativa di una comunità significa anche rimuovere tutto ciò che impedisce la libera e piena espressione, ed in primis le discriminazioni che colpiscono le persone LGBT. Partendo da questa convinzione, READY, la nuova rete di Comuni, Province e Regioni impegnate contro le discriminazioni per orientamento sessuale e identità di genere ha voluto una due giorni di incontri e dibattiti nell’ambito del Festival della Creatività che si apre oggi a Firenze.  Punto di partenza, i dati che sono risultati da una doppia indagine fatta dalla Regione Toscana. L’indagine è stata svolta riferendosi a tre ambiti ben precisi: la scuola, la sicurezza e la sanità, suddivisi in due diversi questionari.
Il metodo scelto per la raccolta dei dati, la Rete, ha certamente fatto sì che la maggior parte di coloro che hanno risposto al questionario fosse giovane e con un buon livello di alfabetizzazione informatica. A rispondere sono stati in 5000, in prevalenza uomini, di età media di 30 anni con una percentuale del 20% di giovani al di sotto dei 22 anni. 

Il primo questionario riguardava la scuola e la sicurezza ed è quello a cui la componente più giovane dei partecipanti ha risposto in maggior numero.
Uno dei primi risultati su cui riflettere è che i giovani LGBT sono più visibili nell’ambiente scolastico di quanto non lo siano le persone più adulte in altri ambiti. Questo dato conferma un trend, già notato da altre ricerche internazionali, che dimostra come i giovani sono più portati a fare coming out in famiglia e tra coetanei prima rispetto al passato. In più, sia le ragazze che i ragazzi hanno dichiarato di essere più visibili, riguardo al loro orientamento sessuale, nei confronti dei compagni di scuola che non nei confronti degli insegnanti. 

L’altro dato importante fornito dall’analisi delle risposte riguarda gli episodi di soprusi subiti da giovani omosessuali. Il 20% delle donne e il 41,5% degli uomini raccontano di essere stati vittima di scherno da parte dei compagni di scuola. Una percentuale destinata ad aumentare se si considerano solamente coloro che affermano che i coetanei erano a conoscenza della loro

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omosessualità: in questo caso si parla del 44,8% degli uomini e del 23% delle donne.
Non meno importante è il dato che riguarda il comportamento degli insegnanti. Tra le vittime di soprusi, il 45% dichiara che il docente presenta ha fatto finta di niente di fronte a quello che stava accadendo, mentre solo il 19% dice di essere stato aiutato dall’insegnante. Una percentuale fin troppo bassa che è, forse, uno dei motivi per cui la maggioranza delle vittime di scherno dichiara di non avere raccontato a nessuno l’accaduto: il 78,8% degli uomini non si è confidato con alcuno. Questi ultimi dati non fanno altro che confermare quello che già in ambiti internazionali era stato notato, e cioè la mancanza di punti di riferimento, specialmente adulti, per i giovani LGBT. Non a caso, tra coloro che hanno subito soprusi, solo il 9,7% si è rivolto ad un insegnante e il 37,6% ai genitori, mentre la maggioranza preferisce raccontare i fatti ad amici esterni al giro delle conoscenze scolastiche.

Ancora una volta, quindi, la discussione deve incentrarsi sul sistema educativo con cui i ragazzi e le ragazze omosessuali devono confrontarsi e il livello di preparazione, da parte degli adulti, nel relazionarsi con problematiche così delicate.
I dati non si fanno più confortanti se si prende in considerazione chi ha scelto di rivolgersi alle forze dell’ordine. Solo l’8,9% degli uomini e il 3,7% delle donne vittime di soprusi ha scelto di denunciare l’accaduto alle forze dell’ordine, causa la paura di dichiarare il proprio orientamento sessuale e la percezione quello che era accaduto sarebbe stato sottovalutato.  Il fatto che il 19% di chi ha

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denunciato aggressioni abbia  pensato che sarebbe stato trattato con ostilità la dice lunga sulla percezione la comunità LGBT ha delle forze dell’ordine. Tra le altre, una domanda specifica è stata rivolta a chi ha risposto al sondaggio: “Quando hai riportato l’accaduto alle forze dell’ordine, come sei stato trattato?”. A questo quesito il 27,4% ha risposto dicendo di essere stato trattato con rispetto e attenzione, il 33,3% con correttezza e imparzialità, mentre un significativo 21,6% ha raccontato di  essere stato trattato con ostilità. In più, il 51,5% dei partecipanti dice di sentirsi meno al sicuro a causa del proprio orientamento sessuale.

La seconda indagine, invece, riguardava i servizi sanitari. Anche in questo caso, la percentuale di donne che hanno risposto è estremamente bassa, solo il 3%. Il primo dei dati di questo sondaggio che appare interessante è che l’83% delle donne e il 79,5% degli uomini afferma di non avere mai dichiarato il proprio orientamento sessuale al medico di base, causa la vergogna e la mancanza di fiducia nella deontologia professionale che i medici dovrebbero garantire. Di contro, però, sia le lesbiche che i gay dichiarano di esserlo ai medici specialisti e al personale di strutture in cui il proprio orientamento sessuale può essere rilevante. Alla domanda “Come ha reagito il personale medico e sanitario cui hai dichiarato il tuo orientamento sessuale?” il 42,9% dei partecipanti ha risposto che il personale ha mostrato indifferenza, nel 50,6% dei casi il personale si è dimostrato a proprio agio, mentre manifestazioni di disagio sono state notate nel 6,6% delle situazioni. 

Altro dato da non sottovalutare evidenzia che il 10% di chi si è rivolto a personale medico e sanitario è rimasto particolarmente colpito nel trovarsi difronte a un servizio gay-friendly, percentuale che scende al 5,9% se ci si riferisce alle donne lesbiche. Più

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specificatamente, ci si riferisce principalmente a centri specializzati in MST delle grandi città, in luoghi sede di università e in particolare nel Nord Italia.
Questa seconda indagine deve spingere a riflettere su quali sono le caratteristiche che fanno sì che un servizio venga percepito come gay-friendly e su come, di fatto, le strutture che hanno questi requisiti non siano uniformemente diffuse sul territorio.

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