Robin Campillo: “Lavoro a due film, uno sarà ispirato alla mia infanzia in Madagascar”

Intervista esclusiva al regista francese del bellissimo 120 Battiti al Minuto, ospite al 33esimo Lovers Film Festival di Torino dove ha tenuto una masterclass.

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È uno dei massimi talenti della nuova generazione francese, e uno dei più eclettici: regista, sceneggiatore (ottima penna, nata dalla scuola sapiente del maestro Laurent Cantet), montatore perspicace. Stiamo parlando di Robin Campillo, autore del film gay più bello e importante del 2017, 120 Battiti al Minuto distribuito in Italia da Teodora, sul quale ha tenuto un’interessante masterclass all’ultima edizione torinese del Lovers Film Festival. Godard, Bresson, Pasolini sono i suoi lumi imprescindibili ma abbiamo anche scoperto che la scena dell’invasione degli attivisti di Act Up nel cortile del liceo è ispirata nientemeno che agli Uccelli di Hitchcock.

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Ci ha concesso un’intervista esclusiva.

È la sua prima volta a Torino?

Sì, mi piace molto la città. Adoro Venezia per il festival e certamente Roma. Amo meno Milano.

Torino è molto piacevole, straordinaria, si fanno passeggiate magnifiche. Ma non conosco ancora i vini locali!

120 Battements par minute è un meraviglioso film sulla vitalità. Nella Masterclass hai usato una parola azzeccata, va contro la ‘sedentarietà’ che è già la situazione ordinaria dello spettatore… È un film sulla malattia che è soprattutto un film sulla vita.

Com’era il clima sul set, c’era proprio questa vitalità?

Nasce tutto prima, al casting. Dovevo trovare attori con energia da rivendere. Ho scelto Adèle Haenel, che era già un’attrice conosciuta: è ‘tuonante’ e autoironica. Poi ho preso attori con potenziale di vitalità. Mentre facevo delle prove li filmavo per vedere la loro forza vitale.

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Il protagonista Nahuel Perez Biscayart lo conoscevi già?

No, è una scoperta per me. È argentino ma aveva fatto alcuni film in Francia. È un piccolo diavolo ‘a molla’, lo trovavo importante per la scena del laboratorio medico in cui doveva saltare proprio come un diavolo a molla. Sul set aveva un’effervescenza particolare, le mie scene erano molto lunghe, spesso dimenticava che c’era la macchina da presa: aveva una forza notevole. È stato straordinario stare in mezzo a questi giovani…

E Arnaud Valois, che valuta il gruppo dall’esterno essendo appena arrivato, come l’hai scovato?

L’ho trovato su Facebook, ha dovuto aspettare nove mesi prima di sapere se l’avrei scelto: era troppo grasso all’inizio. Non si guarda mai recitare e non è pretenzioso.

Quanto hai militato in Act Up?

Due o tre anni ma in tutto ci sono stato dieci anni, fra uscite e rientri, fino al voto per il PACS in Francia (una sorta di Unione Civile, n.d.r.).

Hai dichiarato di amare girare le scene di sesso. Quella di 120BPM è stupenda. Come l’hai realizzata? Hai fatto molti ciak?

Non abbiamo fatto molti ciak. Se potessi, girerei molte più scene di sesso! Ho perso un mio amore per l’Aids, mi ricordo di lui quando facevamo l’amore, il suo odore. Vorrei ritrovare ciò nelle scene d’amore. Non voglio il Kamasutra, il pornografico. Dicevo loro che era come le altre scene. Abbiamo durato due ciak con due macchine da presa per avere due angolazioni diverse. Detesto quando gli attori sono subito nudi e fanno l’amore, come in Abdellatif Kechiche. Ero molto soddisfatto dell’attore eterosessuale che interpreta il professore di matematica che si ‘materializza’ nel ricordo di Sean, come fosse cinema fantasmatico. C’era qualcosa di spiritico.

Robin Campillo: “Lavoro a due film, uno sarà ispirato alla mia infanzia in Madagascar” - Roberto Schinardi e Robin Campillo 2 - Gay.it

La commovente scena finale come si è svolta: davi indicazioni precise o no?

Non completamente. Faccio sempre un ciak o due in cui l’attore può fare ciò che vuole. La madre è una nota attrice di teatro, non ho dovuto dirle quasi nulla. C’era chi piangeva anche perché era molto stanco.

L’episodio delle ceneri distribuite durante il banchetto degli assicuratori è finzione o è avvenuto veramente durante un’azione di Act Up?

È avvenuto realmente in un congresso di assicuratori. L’abbiamo fatto due volte. Era l’epoca in cui c’erano le prime antiproteasi. Molti non avevano accesso a questi trattamenti. È stato terribile il gesto. Alcuni assicuratori ridevano e dicevano che non avrebbero più potuto mangiare.

Ritieni che Macron si impegni sufficientemente per la ricerca sull’Aids?

No. Non siamo neanche andati all’Eliseo quando siamo stati ricevuti dopo il premio a Cannes.

Hai definito il film una ‘sorta di fiume’, splendido come la Senna rossa di sangue in una delle scene più belle. Dove porta questo fiume?

Arriva all’accettazione della morte, non alla morte. Per me questo film è un addio alla gioventù, come possibilità di avere una vita senza morte. Quando sei giovane la morte è molto, molto lontana. Quando è morta mia mamma di cancro, tre anni fa, avevo appena iniziato a scrivere il film. Era un periodo molto difficile, è stato molto forte, mi manca moltissimo.

Nuovi progetti?

Due film: il primo ambientato in un futuro prossimo con personaggi (quasi) solo femminili, Maison Alfa. Parla di alcune persone che vivono in un luogo di vacanza nella campagna francese per indigenti sfruttati da ricchi.

Il secondo è ispirato ai miei ricordi in Madagascar come figlio di sottufficiale ma è anche tratto da un romanzo per l’infanzia: sarà un insieme di varie cose ma non posso parlarne molto per questioni di diritti.

 

 

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