Sono disponibili da qualche giorno in streaming su Mubi i cortometraggi scritti e interpretati da Isabella Rossellini che raccontano il desiderio, la sessualità e la genitorialità animale. Green Porno, Seduce Me e Mammas – questi i titoli delle tre rassegne – si lasciano guardare come fossero caramelle miste: con occhi bambini e infinità curiosità, uno dopo l’altro, in ordine sparso. Ciascuno di essi inizia e finisce in sé, nel giro di pochi minuti – cinque al massimo, ma più sovente due – ma, insieme, costituiscono una controstoria, ironica, irriverente ed ecologista, della sessualità animale. Lo spunto è evidente e reiterato: non esiste depravazione nella natura. Anche la cosa più impudica e dissoluta, lontano da qui, negli abissi del mare o, in generale, nella schiatta animale, risulta essere accettabile, anzi naturale, insindacabile e spontanea.
Nel primo tra gli short film che ho visto – L’Arca di Noè – Rossellini riscrive il racconto biblico e ne sovverte la grammatica sentimentale: perché la società deve costruirsi (o ricostruirsi, rifondarsi) sulla coppia eterosessuale? Che assurdità è mai questa? – sembra chiedere il testo di Rossellini, che infatti lascia salire sulla barca, benché slegate, anche tutte le creature ermafrodite, come i lombrichi e le afidi. I primi, come le stelle marine, a loro volta protagoniste di un altro episodio, sono capaci addirittura di riprodursi da soli, segmentando e clonando il proprio corpo. Le seconde, invece, tutte femmine, partoriscono vergini le proprie figlie. Allo stesso modo, le lucertole rinnegano il maschio e simulano tra loro l’amplesso per stimolare i propri ormoni. Una volta rimaste incinte, poi, partoriscono solo figlie femmine. Salgono sull’arca anche gli esemplari di crepidula fornicata, una specie di lumaca di mare. Alla nascita tutti maschi, questi animaletti delle acque, quando devono riprodursi, si ammucchiano e si impilano l’uno sopra l’altro. Quello tra loro che sta più in basso, poi, transita verso il genere femminile. «Come può essere tutto eterosessuale?», si chiede (e ci chiede) Rossellini sul finire dell’episodio.
Così, per rispondere a questa domanda, rendendola di fatto vacua, anche altri episodi mostrano il sesso omosessuale tra delfini, i ribaltamenti di ruoli dei cavallucci marini (è l’esemplare maschio a essere fecondato), i travestimenti meschini della seppia maschio, che si finge femmina per adescare la sua concubina. Guardando quest’operetta – il diminutivo ha qui un valore vezzeggiativo – si fa allegramente esperienza di tutti i comportamenti romantico-sessuali animali e, per rispecchiamento, umani. Nel bene e nel male, animali noi stessi, non siamo poi così diversi: né meno crudeli né meno promiscui, né meno giocosi né meno fragili, né meno schiavi del desiderio né più (o meno) amorevoli. Ma non è tanto questa possibilità di immedesimazione il pregio del progetto, anzi, al contrario. È l’osservazione schietta dell’alterità animale, lo studio dignitoso, non feticizzato o romanticizzato, non umanizzato o reso antopomorfo, non addomesticato, di ciò che accade, e di come accade, altrove, in altri meandri della genia animale. È tutta qui la forza e la modernità di questi cortometraggi, che sono stati realizzati dieci anni fa e invece sembrano provenire dal futuro; nell’elogio della più estrema complessità, che scivola dalle maglie del giudizio e fa ripensare al concetto stesso di giudizio. Possiamo giudicare, con categorie nostre, ciò che noi non siamo, ciò che non è noi?
Mescolando l’arte della marionette alle animazioni di Mélies e il teatro giapponese alla magia della carta, Isabella Rossellini dà vita a un pastiche artistico che è giocosa e futuribile, coltissimo, militante e, al contempo, scanzonato. Fanno ridere, assai, questi cortometraggi e, intanto, però lavorano in profondità, smascherano le ingiustizie dello specismo e lacrimano sulle tragedie ambientali. Soprattutto, sorprendono questi microfilm. Sorprendono come un miracolo, restituiscono al cinema il suo verbo: to play. Recitare, giocare.
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