Importantissima sentenza della prima sezione della Corte di Cassazione che dice no all’obbligo di sterilizzazione per la rettificazione del genere sui documenti delle persone trans.
A renderlo noto è Avvocatura per i diritti LGBTI – Rete Lenford che ha seguito il caso fin dal primo grado con gli avvocati Bilotta, Gracis e Genova.
“Siamo orgogliosi di aver lavorato e contribuito a porre fine a questa violazione inaccettabile dell’integrità psico-fisica delle persone transessuali” dice l’associazione in una nota, definendo la decisione “storica”.
La sentenza n. 15138/2015 riconosce che per la rettificazione degli atti anagrafici non è obbligatorio l’intervento di adeguamento degli organi riproduttivi.
I “NO” IN PRIMO GRADO E IN APPELLO
La protagonista della vicenda, una persona trans di 45 anni aveva già ottenuto nel 1999 una sentenza che l’autorizzava all’intervento chirurgico, ma aveva deciso di non ricorrevi “avendo raggiunto nel tempo un equilibrio psico-fisico e che da 25 anni vive ed è socialmente riconosciuta come donna” spiega Rete Lenford. Ma sia il tribunale di Piacenza che la corte d’appello di Bologna, a cui la donna si era rivolta, avevano respinto la richiesta seguendo la giurisprudenza sul tema e sino ad oggi prevalente, che riconosce il cambio di genere anche sui documenti solo dopo l’esecuzione dell’intervento chirurgico sugli organi genitali. Una battaglia, quella del diritto all’autodeterminazione, che il movimento trans conduce ormai da anni e che al momento è riconosciuto solo in quattro paesi in tutto il mondo (Argentina, Danimarca, Malta e, da pochi giorni, Irlanda ).
COSA DICE LA SENTENZA
Secondo quanto riferisce Rete Lenford, la cassazione sostiene che “il desiderio di realizzare la coincidenza tra soma e psiche è, anche in mancanza dell’intervento di demolizione chirurgica, il risultato di un’elaborazione sofferta e personale della propria identità di genere realizzata con il sostegno di trattamenti medici e psicologici corrispondenti ai diversi profili di personalità e di condizione individuale. Il momento conclusivo non può che essere profondamente influenzato dalle caratteristiche individuali. Non può in conclusione che essere il frutto di un processo di autodeterminazione verso l’obiettivo del mutamento di sesso (…). La complessità del percorso, in quanto sostenuto da una pluralità di presidii medici (terapie ormonali trattamenti estetici) e psicologici mette ulteriormente in luce l’appartenenza del diritto in questione al nucleo costitutivo dello sviluppo della personalità individuale e sociale, in modo da consentire un adeguato bilanciamento con l’interesse pubblico alla certezza delle relazioni giuridiche che costituisce il limite coerentemente indicato dal nostro ordinamento al suo riconoscimento”.
Per i giudici della prima sezione, infine, “l’interesse pubblico alla definizione certa dei generi, anche considerando le implicazioni che ne possono conseguire in ordine alle relazioni familiari e filiali, non richiede il sacrificio del diritto alla conservazione della propria integrità psico fisica sotto lo specifico profilo dell’obbligo dell’intervento chirurgico inteso come segmento non eludibile dell’avvicinamento del some alla psiche. L’acquisizione di una nuova identità di genere può essere il frutto di un processo individuale
che non ne postula la necessità, purché la serietà ed univocità del percorso scelto e la compiutezza dell’approdo finale sia accertata, ove necessario, mediante rigoroso accertamenti tecnici in sede giudiziale”.
LA SODDISFAZIONE DI RETE LENFORD
Una sentenza che “ha finalmente chiarito che l’intervento chirurgico di riassegnazione, quando non è frutto di una scelta personale, è uno strumento lesivo dell’integrità fisica e della dignità umana – commenta soddisfatta l’avv. Maria Grazia Sangalli, presidente di Rete Lenford -. In molti casi, le terapie ormonali e gli interventi sui caratteri sessuali secondari garantiscono alla persona di raggiungere il proprio equilibrio e fissare la propria identità di genere a prescindere dalla modificazione chirurgica dei caratteri sessuali primari, che comporta interventi dolorosi, invasivi e con conseguenze negative in un’alta percentuale di casi”.
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