Un ritorno tutt’altro che nostalgico, quello di Will and Grace. La nona stagione della sit-com NBC, tornata a furor di popolo poco meno di un mese fa, ha riabbracciato i dialoghi brillanti di un tempo e i mitologici personaggi che la resero celebre, tra la fine degli anni ’90 e i primi anni ‘2000, senza però dimenticare quei temi tanto cari alla comunità LGBT ancora oggi dibattuti con forza.
L’ultimo episodio andato in onda, intitolato Nonno Jack, ha raccolto consensi unanimi negli States e commosso non pochi spettatori, con i creatori David Kohan e Max Mutchnick che dopo aver più volte picconato l’amministrazione Trump sono andati ad abbattere le cosiddette ‘teorie riparative’, ancora molto in voga in diversi Stati d’America. E non solo.
Un episodio che ha visto Jack scoprire di essere nonno, grazie alla paternità del figlio Elliot (Michael Angarano), avuto grazie allo sperma donato da adolescente per comprarsi una giacca (tipico di McFarland). Un nipote gay, proprio come l’orgoglioso Jack, spedito dai genitori bigotti in un centro di ‘riconversione’ guidato da Jane Lynch e Andrew Rannells, chiaramente repressi e tutt’altro che ‘tornati normali’. Will e Jack, preoccupati per le sorti del piccolo, corrono in suo aiuto, ridicolizzando con astuzia l’intero impianto ‘riparativo’.
‘Questo posto non può aggiustarti perché non sei rotto. Anche per me è stato difficile ma credimi, le cose migliorano. Quando crescerai capirai che c’è la famiglia in cui sei nato ma anche quella che scegli. E la famiglia che ho scelto io… beh non potrei desiderare di meglio. Devi essere molto forte, quando non ci sarò voglio che mi immagini nella tua mente mentre ti guardo come ti sto guardando ora e mentre ti dico ‘sei esattamente chi dovresti essere‘.
Un discorso a cuore aperto da parte di un inedito Jack McFarland, nonno a sorpresa e assoluto protagonista di una puntata meravigliosa, perché come al suo solito in grado di far ridere ma anche, se non soprattutto, riflettere. Centrare un intero episodio di una sit-com sulle teorie riparative era una sfida, tanto coraggiosa quanto rischiosa, che Max Mutchnick e David Kohan hanno nuovamente vinto, ribadendo l’assoluta necessità di uno show come Will and Grace. Troppo a lungo assente dai palinsesti tv ed ora finalmente tornato tra noi.
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Persino Aldo Grasso in Italia ha scritto sul Corriere una recensione positiva entusiatica e ha parlato di Will & Grace come modello da indicare ai noiosi autori del corrispettivi telefilm di produzione romanocentrica italica dove a pessimi testi personaggi ribolliti e storie melense vengono affidati dialoghi ridicoli recitati a livello di caprini incomprensibili e isterici. Abbiamo affrontato nei telefilm italioti suore preti santi e monaci, carabinieri polizia e forestali storici campioni di ogni sport, mafiosi in tutte le connotazioni perciò camorristi ndranghretisti e mafiosi. Forse sarebbe il caso di fare produzioni su gente comune.