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Bittersweet Becoming, recensione. Essere donna in transizione a 60 anni, perché non è mai troppo tardi

Un documentario potente, commovente, che trasuda resistenza, coraggio e orgoglio. La storia di Karla Rae James.

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Un viaggio durato 60 anni di vita e ben 36 mesi di produzione cinematografica. Bittersweet Becoming di Polina Tief, documentario in Concorso alla 38esima edizione del Lovers Film Festival di Torino, racconta la storia di Karla Rae James, donna che dopo due matrimoni falliti, una figlia e una vita passata a nascondersi, ad interpretare un personaggio di pura finzione, ha trovato la forza di compiere la tanto attesa transizione, abbracciando il proprio vero io. Alla soglia dei sessant’anni.

Quanto visto in Transparent, serie capolavoro di Jill Salloway, prende qui la strada del Cinema del Reale, con la regista Polina Teif che ha seguito Karla per tutta la durata del percorso, durato 3 anni e riuscito a superare la pandemia da Covid-19. Il rapporto di fiducia instauratosi tra regista e protagonista ha dato forma ad un viaggio complesso, non privo di dolore e fatica, cullato per un’intera esistenza.

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Dopo aver lavorato per anni manovrando gigantesche navi, interpretando così il ruolo di un lavoro usurante e fortemente maschile, Karla ha accettato il proprio io, ha scoperto sè stessa. Sul letto di morte sua madre le ha chiesto di vendere la casa di famiglia e di utilizzare quei soldi per compiere la transizione, per pagarsi le necessarie operazioni chirurgiche, per diventare finalmente quello che ha sempre saputo di essere. Una donna anche nei lineamenti del volto, nel fisico, in grado di poter andare al mare e rimanere in bikini, sorridendo alla vita.

Bittersweet Becoming è un ritratto di autodeterminazione, un prezioso dialogo intergenerazionale che mostra la via crucis a cui qualunque persona trans deve cedere, per raggiungere l’ambito traguardo della transizione. Un percorso lungo e accidentato, costoso da un punto di vista economico, fisico e psicologico. Certamente non una “moda” passeggera da rinnegare una volta completato l’iter, come da molti scelleratamente sostenuto alimentando transfobia.

Tief porta sullo schermo il calvario chirurgico a cui Karla si è dovuta sottoporre, perché costretta da una società frenata dal binarismo, costantemente ossessionata dall’apparire. Prima le labbra, poi le palpebre, il naso, gli zigomi, il collo, infine il seno. Perché per quanto lei sappia da sempre di essere donna, anche il mondo esterno deve ammirarla come tale.  Vediamo la nostra protagonista ricoperta di lividi e cicatrici, dolorante ma impaziente perché da decenni desiderosa di quel nuovo volto, finalmente femmineo. L’attesa infinita per il via libera la divora, perché Karla non aspetta altro, da sempre. È consapevole che soffrirà, che spenderà tutti i soldi di famiglia, che i rischi per una transizione in così tarda età esistono e sono notevoli, che avrebbe potuto e dovuto pensarci prima. Ma non è mai davvero troppo tardi, anche a sessant’anni, perché che senso avrebbe continuare a vivere la vita di un altro, a fingere di essere chi non si è veramente?

Karla ha sprecato già troppo tempo, 3/4 di esistenza, e non può più aspettare. Nel momento in cui le operazioni slittano, causa problemi di salute e Covid-19, impazzisce. Quando il chirurgo le elenca gli eventuali rischi operatori lei sorride, perché non le interessano. Karla brama quelle operazioni perché solo cedendo al bisturi potrà finalmente specchiarsi, per la primissima volta, e riconoscersi, vedersi riflessa, esaudendo anche l’ultimo desiderio di una mamma che le ha lasciato in eredità la gioia, la felicità di una rinascita, di un’accettazione totale, finalmente completa.

Bittersweet Becoming è un documentario potente, commovente, che trasuda resistenza, coraggio e orgoglio. Karla Rae James è una donna fuori dal comune, australiana che ha mollato tutto ed è volata in Canada per portare a termine una transizione che pensava troppo tardiva, attrice a tempo perso, punk nell’anima, ricoperta di tatuaggi dalla testa ai piedi e con una figlia che non vuole più vederla. Perché “non sono transfobica, ma….“.

Oggi, 10 anni dopo aver fatto coming out come donna transgender, è  fiera di sè, innamorata di una vita a lungo vissuta da spettatrice, indossando una maschera che è finalmente caduta, alla soglia dei 60 anni. Perché non è davvero mai troppo tardi per essere pienamente felici.

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