Il 2 agosto e l’eredità dell’Olocausto Rom: una chiamata all’azione e al riconoscimento in Europa

Riflettendo sul passato, agendo per il futuro: l'Europa di fronte alla memoria dell'Olocausto Romaní e alle sfide dell'oggi.

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Il 2 agosto di ogni anno, i cittadini europei sono chiamati a riflettere sullo spettro di un capitolo oscuro e spesso trascurato della storia del continente: l’Olocausto Romaní.

Romaní è il nome più corretto e completo per definire le popolazioni che solitamente indichiamo come Rom.

Centinaia di migliaia di persone appartenenti a un’etnia da sempre oggetto di pregiudizi e violenza sono state ancora una volta perseguitate e uccise durante la Seconda Guerra Mondiale, una tragedia parallela all’Olocausto ebraico, ma meno conosciuta.

Dunja Mijatović, Commissaria per i Diritti Umani del Consiglio d’Europa, ha recentemente sollevato l’urgenza di riconoscere e insegnare la tragica persecuzione del popolo Romaní che, spesso, non è altro che una nota a piè di pagina sui libri di storia – proprio come lo è spesso l’Omocausto.

Un appello potente, che va al cuore di una problematica ancora attuale: la maggior parte delle società europee, a distanza di quasi un secolo da quegli eventi terribili, ha ancora una conoscenza marginale della cultura e della storia Romaní.

Una carenza educativa che ha contribuito a perpetuare pregiudizi e discriminazioni, in un circolo vizioso che impedisce l’integrazione di questa fascia di popolazione oggi costretta a sopravvivere in un’Europa diffidente e poco incline ad accoglierla.

Molti Romaní oggi sono ancora vittime di odio, violenza e discriminazione quotidiana. In alcuni paesi, l’accesso ai servizi di base, come l’assistenza sanitaria, l’alloggio e l’istruzione, è negato o limitato. La pandemia di COVID-19 e recenti conflitti, come la guerra in Ucraina, hanno ulteriormente esacerbato queste disuguaglianze.

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Le case di una comunità Romanì abbattute dalle ruspe in Bulgaria, 2018

La storia delle persecuzioni verso il popolo Romaní: un orrore che attraversa i secoli

Il popolo Romaní ha una storia affascinante e antica, che fonde culture e costumi ben oltre il confine europeo e si perde nei secoli, tra leggende e testimonianze tramandate di generazione in generazione.

Spesso chiamati in modo dispregiativo “zi*gari” – si tratta, a tutti gli effetti, di linguaggio d’odio –, i Romaní sono da sempre oggetto di pesanti discriminazioni. Dalla schiavitù in Romania alla brutale persecuzione nazista durante la Seconda Guerra Mondiale, la loro storia è una testimonianza di resilienza e resistenza di fronte alla marginalizzazione e all’odio.

Sebbene l’Olocausto Romaní, sia uno degli episodi più tragici, le sofferenze dei popoli Romaníani non sono iniziate, né sono finite, con la Seconda Guerra Mondiale. Ben prima del “Porajmos”, la storia racconta già di secoli di oppressione, a causa di pregiudizi che – come spesso accade – hanno gettato le basi per le future persecuzioni.

Porajmos: L’Olocausto Romaní

Durante la Seconda Guerra Mondiale, sotto il regime nazista, la persecuzione dei raggiunse il suo picco. Similmente agli ebrei, furono visti come “inferiori” dal regime nazista, e questa ideologia razzista giustificò il loro sterminio.

A partire dal 1935, i Romani in Germania furono privati della loro cittadinanza a causa delle Leggi di Norimberga. Da quel momento in poi, furono soggetti a violenze, imprigionamenti nei campi di concentramento e, infine, al genocidio nei campi di sterminio.

La politica di sterminio fu estesa anche ai territori occupati dai nazisti e messa in pratica anche dai loro alleati, come Croazia, Romania e Ungheria.

L’esatta stima delle vittime Romaní durante l’Olocausto varia. Mentre alcune stime suggeriscono un numero tra i 200.000 e i 500.000, altri studiosi credono che il numero potrebbe essere molto più alto, fino a 1,5 milioni. La tragedia è stata così devastante che, in alcune aree, come la Boemia, la lingua Romaní è diventata estinta.

Sebbene la fine della Seconda Guerra Mondiale abbia visto la liberazione dei campi di concentramento e la fine del regime nazista, la discriminazione e la persecuzione non sono cessate. In molti paesi europei, continuano a essere marginalizzati, vivendo spesso in condizioni di povertà, affrontando discriminazioni nel lavoro, nell’istruzione e nell’accesso ai servizi.

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Prigionieri di etnia Romanì in un campo di concentramento

Cosa può fare l’Europa?

La soluzione non risiede solo nel riconoscimento della sofferenza passata. A partire dalla sensibilizzazione e dalla promozione di una cultura europea di accettazione e celebrazione delle differenze, è essenziale che gli stati membri del Consiglio d’Europa si impegnino attivamente per superare l’antiziganismo, ovvero la discriminazione specifica nei confronti dei Romaní.

Questo implica la creazione di politiche inclusive, l’investimento in programmi educativi e azioni specifiche per garantire la conservazione di una cultura che attraversa i secoli, spezzando però le catene della marginalizzazione.

Come sempre, la cultura storica e una narrativa inclusiva risultano fondamentali. Le nuove generazioni sono chiamate ad apprendere e comprendere gli orrori dell’Olocausto Romaní, che non deve più risuonare come una semplice appendice nell’oceano degli orrori perpetratisi durante la Seconda Guerra Mondiale.

Di altrettanta importanza investire nella memoria collettiva attraverso monumenti e siti commemorativi dedicati alle vittime. Luoghi che servano non solo come promemoria della sofferenza, ma anche come simboli di riconoscimento e rispetto.

In tutto questo, gli attivisti Romaní devono essere coinvolti in prima persona in questi processi, garantendo che la loro voce sia ascoltata e rispettata.

La commemorazione del 2 agosto non dovrebbe essere vista solo come un momento di lutto, ma anche come un’opportunità. Un’opportunità per riflettere sulla nostra storia condivisa, per riconoscere le ingiustizie del passato e per costruire un futuro di rispetto e inclusione.

L’Europa ha il dovere, non solo di ricordare, ma anche di agire, garantendo che i diritti del popolo Romaní siano protetti e rispettati ora e sempre, e che – come cittadini europei – siano offerte loro le stesse opportunità.

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