Da GayCS al tesseramento ALIAS, la storia di AiCS nel promuovere l’inclusione nello sport – Intervista al presidente Bruno Molea

Restituire allo sport la sua valenza sociale come potente strumento per promuovere l'inclusione delle fasce più vulnerabili: è una sfida che AiCS porta avanti da ben dodici anni.

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Bruno Molea, presidente AiCS
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Qualche giorno fa, abbiamo dato notizia dellintroduzione del tesseramento ALIAS in AiCS – Associazione Italiana Cultura Sport, grande passo avanti in termini di inclusione e riconoscimento delle identità trans e gender non conforming in uno dei settori più complessi su cui intervenire.

Analizzando i risultati della ricerca europea Outsport, emerge infatti come la violenza fisica e verbale nei confronti delle persone transgender in ambito sportivo sia notevolmente più alta rispetto a quella subita da lesbiche, bisessuali e omosessuali.

La conseguenza ovvia, ma desolante, è un problema di accesso all’attività fisica per la popolazione transgender e non binaria, che in Italia rappresenta circa il 4% della popolazione secondo l’ultimo sondaggio IPSOS. Questa esclusione dal mondo dello sport, spesso già dall’adolescenza, non fa che esacerbare le criticità che le popolazioni fragili riscontrano in ambito di salute, socializzazione e sviluppo di relazioni.

Per approfondire questa tematica di grande rilevanza sociale e sportiva, abbiamo parlato con il Presidente di AiCS, Bruno Molea, e chiedergli cos’ha spinto uno degli enti di promozione sportiva più capillari sul territorio nazionale ad abbracciare la sfida dell’inclusione verso le persone trans e gender non conforming.

Presidente Molea, l’introduzione del tesseramento alias da parte dell’AICS rappresenta un grande passo avanti verso l’inclusione e il riconoscimento delle identità LGBTQIA+ in ambito sportivo. Potrebbe raccontarci come è stata presa questa decisione? È stato un processo che ha coinvolto il confronto con stakeholders e associazioni LGBTQIA+? E come valuta l’impatto di questa scelta?

L’introduzione del tesseramento AiCS non è altro che la maturazione di un percorso intrapreso già dodici anni fa, quando fondammo i settore GayCS per la popoazione LGBTQIA+, scelta che fu molto dibattuta dalla direzione nazionale.

Eppure, l’idea di fondo era quella che fosse un atto di civiltà dare a tutti i nostri associati la possibilità di esistere all’interno della realtà associativa, di evidenziarsi, di partecipare. Il movimento partì un po’ in sordina, ma l’obiettivo è sempre stato quello di raggiungere anche la comunità LGBTQIA+.

Anche perché, piano piano, ci siamo accorti che c’era un problema in ambito di inclusione sportiva. L’Italia, paga anche dei ritardi in questo senso.

Partendo dall’attività sportiva di base – che è quello che facciamo noi – abbiamo quindi scelto di intraprendere un percorso per restituire allo sport a sua valenza sociale, per incidere su tutta una serie di problematiche sociali. Andando nel contempo a coinvolgere quella fetta di società che non partecipa, per motivi che conosciamo molto bene.

Quindi, siamo partiti con la ricerca Outsport. Insieme ad alcuni partner europei, abbiamo studiato quali sono i fattori escludenti per le popolazioni LGBTQIA+. Parliamo di partecipazione allo sport di base, non agonistico, quindi lo sport come strumento di relazione, inclusione e veicolo di calori.

Una volta verificati i risultati, abbiamo deciso di fare la nostra parte. Abbiamo deciso di affrontare i problemi, di scomporli sotto la lente di ingrandimento. E dopo averli analizzati, abbiamo agito. Così oggi, se una persona trans desidera partecipare alle attività AiCS, potrà farlo in un ambiente non giudicante.

Tuttavia, i campionati sono un discorso diverso. Purtroppo, non possiamo intervenire direttamente sui regolamenti che impediscono alle persone gender non conforming di parteciparvi. Le uniche attività accessibili con la tessera ALIAS sono quelle amatoriali, su cui noi abbiamo la gestione.

Lo step successivo sarà quindi intervenire sui regolamenti. Parlando con una mia collaboratrice, ci siamo detti che siamo solo ai piedi di un Everest che abbiamo deciso di scalare. E lo faremo avviando un dibattito, un confronto su questi temi.

Stiamo lavorando però in un ambito complesso che è quello dello sport, molto più difficile da “scalfire” rispetto ad altri a causa delle pesanti sovrastrutture machiste ed esclusiviste sia nello sport agonistico che dilettantistico.

Certamente, ma noi iniziamo solo ora questa scalata. Come AiCS, abbiamo già per esempio introdotto spogliatoi gender neutral per il pattinaggio, ricevendo sorprendentemente pochissime resistenze interne. È una consapevolezza che va sviluppata dal basso.

Proprio ieri, ho ricevuto un’invettiva da un’esponente un’associazione conservatrice e tradizionalista proprio in ambito di tesseramento ALIAS. E io mi chiedo, ma come reagirebbe questa persona se suo figlio facesse coming out come trans?

Stiamo parlando di una persona che ipersemplifica il concetto di tesseramento ALIAS come la volontà di introdurre uomini negli spogliatoi femminili. E poi mi diceva, caro Molea, lei magari si metterà il segno rosso sotto gli occhi per piangere l’ennesimo femminicidio. Ma che c’entra sta storia? Ma di che stiamo parlando?

Questi sono purtroppo i tanti macigni contro i quali andremo a sbattere nel corso di questa lunga operazione, senza però perdere mai di vista l’obiettivo: quello di estendere la partecipazione a chi ha più bisogno di relazionarsi e di superare l’isolamento sociale, un vero e proprio dramma.

Per quello che mi riguarda, io continuerò ad educare e sensibilizzare il mio popolo in quella direzione. AiCS ha 1.200.000 tesserati: avviamo un meccanismo, che muove un’azione, che muove un pensiero, genera una riflessione e poi arriviamo al cambiamento.

Infine, una domanda sul tema della sensibilizzazione e della formazione all’interno delle realtà sportive: quali azioni sta intraprendendo l’AICS per educare e formare allenatori, atleti e staff sulle questioni di genere e sull’importanza del rispetto delle diversità? In che modo l’AICS si impegna a creare un ambiente sportivo sicuro e accogliente per tutti, indipendentemente dalla loro identità di genere o orientamento sessuale?

Allora, vedete, abbiamo iniziato con una formazione specifica per i nostri presidenti provinciali, che sono trovati, all’improvviso, con un nuovo compito nel nostro programma di tesseramento online. Piovevano comunicati stampa da ogni parte, leggevano gli articoli sui giornali, ed eccoci qui a dire: ‘Ragazzi, questa è la decisione della direzione nazionale.’ Il primo passo? Formare voi. Spiegarvi cosa significa questa azione, quali sono i nostri obiettivi.

Una volta fatta questa formazione, abbiamo garantito che, se una ragazza trans arriva in uno qualsiasi dei 120 comitati provinciali di AiCS in Italia e dice, ‘Ho fatto il flag sulla casella alias, mi chiamo Franca’ la sua tessera associativa uscirà con ‘Franca’. Certo, i suoi dati anagrafici resteranno quelli originali, per questioni assicurative, per esempio, ma lei potrà presentarsi pubblicamente con la tessera che dice ‘Franca’.

È una scelta, e dove viene accettata, è un’altra fase formativa. Perché l’importante, secondo me, è come Franca sarà accolta con la sua tessera alias. È una questione di educare al rispetto della diversità.

Poi c’è il problema dello spogliatoio unico. Non è ancora accettato ovunque, siamo ancora in fase sperimentale. Abbiamo provato con il pattinaggio e ha funzionato.

In alcune zone, mi è stato detto, hanno permesso a un atleta di partecipare addirittura in una competizione. Ecco, su questa linea dobbiamo lavorare. È un lavoro immenso, per sensibilizzare e formare allenatori, presidenti delle società. Solo così, però, si fa un ulteriore passo avanti.

E prima di tutto, abbiamo delle sperimentazioni in mente, che presenterò alla prossima direzione. Non posso parlarne ora, per rispetto verso i membri della mia direzione nazionale. Ma l’obiettivo è capire meglio come intervenire a favore di queste persone, questi ragazzi, queste ragazze, che non devono sentirsi esclusi solo perché vivono un’identità di genere diversa.

È vero, stiamo ricevendo attacchi dalle organizzazioni tradizionaliste e oscurantiste. Ma queste discussioni, secondo me, aiutano la comunità a non arrendersi, a continuare a lottare. Potremmo chiudere il settore gay, ma invece decidiamo di alimentarlo, di permettere azioni e partecipazioni, di cominciare a dire la nostra. Questo ci porta ad affrontare sfide difficili, anche impopolari. È una scelta coraggiosa, ma è il modo giusto di agire.

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